Il prigioniero coreano, foto e recensione del film di Kim Ki-duk

Il prigioniero coreano è l’ultimo film di Kim Ki-duk ed è in sala dal 12 aprile distribuito da Tucker Film. La storia è quella delle due Coree, Corea del Nord e Corea del Sud, che si sono divise anche le acque di un fiume. frameborder="0" allow="accelerometer; autoplay; clipboard-write; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture" allowfullscreen> È lì che […]

Il prigioniero coreano è la storia di un pescatore che finisce con la sua barca nella Corea del Sud. È l'ultimo film di Kim Ki-duk

Il prigioniero coreano è l’ultimo film di Kim Ki-duk ed è in sala dal 12 aprile distribuito da Tucker Film. La storia è quella delle due Coree, Corea del Nord e Corea del Sud, che si sono divise anche le acque di un fiume.

È lì che ogni giorno va a pescare il protagonista del film, Nam Chul-woo, le guardie della Corea del Nord lo avvertono: “Fa attenzione, la corrente spinge verso Sud”. Quando la sua barca ha un’avaria al motore, le reti si sono impigliate nell’elica, Nam si ritrova suo malgrado nel Sud. 

Il prigioniero coreano, l’ultimo film di Kim Ki-duk, inizia così e si capisce sin dall’inizio che si parlerà delle due Coree, o meglio di un uomo prigioniero di una divisione e di un confine politico. Arrivato a Seoul, rigorosamente a occhi chiusi, Nam verrà trattato come una spia, nonostante sia un innocente pescatore. 

La storia di Nam è quella di moltissimi coreani divisi da un confine politico fra le due nazioni, riuscirà a convincere entrambe le Coree della sua innocenza. Di non essere una spia a Sud e di non essere stato convertito al lusso e al capitalismo una volta ritornato a Nord? Lontano dagli ultimi film, Kim Ki-duk ci regala un ottimo thriller politico in cui denuncia senza mezzi termini ciò che avviene (quotidianamente) nella sua Corea. 

Lo stesso Kim Ki-duk ha parlato di cosa significhi essere sudcoreano, in un’intervista a Repubblica, riportata nelle note stampa del film: 

“Per noi coreani la divisione è una ferita che sanguina da 70 anni. Mio papà ha combattuto in guerra, io sono nato quand’era già finita, però ho fatto il militare e, nell’esercito, mi spiegavano ogni giorno che il mio nemico si chiamava Corea del Nord”.

Con questo meraviglioso film, il regista voleva dimostrare che in fin dei conti Corea del Sud e Corea del Nord non sono così diverse: da una parte c’è una dittatura, dall’altra c’è un altro genere di violenza. 

“Con Il prigioniero coreano ho voluto mostrare un paradosso: guardate come sono simili Nord e Sud. “Là” c’è la dittatura, “qui” la violenza ideologica”. 

Il semplice pescatore Nam diventa un’importante pedina nelle mani di due Paesi che si fanno la guerra dal 1945:

“Non si può demonizzare un intero popolo. Il Nord non è solo la dinastia dei Kim: la gente viene prima. La Corea del Nord non è chi comanda: è il suo popolo, il nostro popolo. Non confondiamola con i suoi dittatori”.

In Il prigioniero coreano nessuna delle due Coree ne esce in modo positivo, a pagare per un conflitto così duraturo è sempre il popolo. Sia esso un semplice pescatore, sia esso un esperto dei servizi segreti: non esistono nemici, ma solo due facce della stessa medaglia. 

Kim Ki-Duk, Leone d’Oro a Venezia nel 2012 per Pietà, torna al cinema con uno dei suoi più riusciti. Da non perdere. Il Prigioniero coreano è in sala a Roma al Greenwich e al Quattro Fontane.

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