Il caso del rapimento di Emanuela Orlandi è sempre più un mistero senza fine. Le ultime indiscrezioni vedrebbero un coinvolgimento dello zio, Mario Meneguzzi, ad oggi deceduto. Le ultime notizie parlano anche presunte molestie da parte dell’uomo ai danni della sorella maggiore di Emanuela, Natalina. Ma la famiglia difende lo zio: per Pietro Orlandi si tratta di un tentativo del Vaticano di sviare le indagini e scaricare la responsabilità su di loro. La famiglia di Emanuela Orlandi, il fratello Pietro e la sorella Natalina, questo pomeriggio, hanno tenuto una conferenza stampa nella sede della Stampa Estera a Roma per rispondere sulle notizie delle scorse ore pubblicate dal Tg La7 e sui documenti consegnati alla Procura della Repubblica di Roma dal promotore di Giustizia Vaticana Alessandro Diddi in merito alle indagini sul caso della sparizione della quindicenne avvenuta il 22 giugno del 1983. Presente anche il legale della famiglia Orlandi, Laura Sgrò.
“Il Vaticano sta trovando il modo per spostare l’attenzione dall’interno a fuori e per scaricare qualunque responsabilità su altri, addirittura sulla famiglia. Le ultime briciole di dignità il Vaticano le ha perse ieri sera. La carognata fatta è stata vergognosa”, ha detto il fratello Pietro. Sulla questione ha preso la parola anche il legale della famiglia, Laura Sgrò che ha spiegato: “Quello che è successo ieri meritava un approfondimento perché siamo stati travolti da questa notizia – ha precisato il legale –. Ieri si è fatta macelleria della vita delle persone. Abbiamo appreso dal Tg di La7 che si attribuirebbero delle responsabilità della scomparsa di Emanuela allo zio. Sono stati raccontati fatti privati di Natalina Orlandi, la sua vita è stata messa in piazza e macellata. Sarebbe stata una gran cosa se qualcuno prima di quel servizio avesse deciso di fare una telefonata”.
Nel corso della conferenza stampa ha preso la parola anche la sorella Natalina, che per quanto riguarda le presunte molestie subite ha raccontato nel dettaglio quanto successo. “Non esiste stupro, è un fatto che risale al 1978, mio zio mi fece solo delle semplici avances verbali, al momento fui scossa ma finì lì e lo raccontai solo al nostro sacerdote in confessione. Questo fu il rapporto con mio zio. E infatti le nostre famiglie sono unite. Io questa cosa la tenni per me – ha continuato – Poi nell’83 mi hanno chiamato e subii un interrogatorio. Erano cose che sapevano tutti, magistrati inquirenti e investigatori. È finita lì e non portò a nulla. Sono stata interrogata dal dottor Sica nel 1983 come se fossi una colpevole reticente – ha proseguito Natalina – Ero stata chiamata per la cassetta per farmi sentire i lamenti di Emanuela. Noi siamo persone limpide, ho raccontato la verità. Avevo 21 anni e le avances sono avvenute 5 anni prima. Mi viene da ridere perché lo sapevano tutti, so che hanno fatto le loro indagini”, ha concluso.
Una questione che riaccende l’ipotesi di una commissione parlamentare sulla vicenda. “Faccio un appello ai senatori affinché questa commissione possa passare”, ha chiesto il fratello Pietro. “In questi giorni – ha spiegato – ci sarà la conferenza dei capigruppo al Senato, in cui devono decidere il giorno della votazione in aula. Sono convinto che se questa commissione parte può portare alla verità. Perché il Vaticano non vuole la commissione? La commissione è diversa dalla procura. Sarebbe difficile gestire 40 tra deputati e senatori che possono audire chiunque con audizioni pubbliche. Sarebbe difficile, quindi non la vogliono – ha aggiunto Pietro Orlandi -. Io faccio l’appello in questo parlamento. Io ho fiducia in questo Parlamento e in questo Governo. Il Parlamento deve aprire questa commissione per uscire dal diktat della Santa sede nei confronti dello Stato italiano”, ha concluso.