Un profondo dramma personale. Ci sarebbe questo dietro la decisione di Stefano Sparti, figlio di Massimo, ex Banda della Magliana e grande accusatore di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro per la strage alla stazione di Bologna del 1980, di togliersi la vita lanciandosi da un edificio di 14 piani a Roma, nel quartiere Tor Bella Monaca. Il 53 enne è stato trovato privo di vita ieri mattina dalla polizia nel cortile della sua abitazione in largo Ferruccio Mengaroni. Nella tasca dei pantaloni gli inquirenti hanno rinvenuto le chiavi di casa. Il pm Francesco Cascini, come da prassi, ha avviato un fascicolo di indagine per istigazione al suicidio disponendo l’autopsia ma al momento l’unica pista seguita è quella del gesto volontario legato a vicende personali gravi.
Sparti nel dicembre del 2018 era stato ascoltato nel corso del processo davanti alla Corte d’Assise di Bologna nell’ambito del processo all’ex Nar Gilberto Cavallini accusato di concorso nella strage della stazione e poi condannato all’ergastolo.
“Mio padre era un despota violento, un bugiardo cronico – affermò davanti ai giudici – non si è mai mosso da Cura di Vetralla (paesino in provincia di Viterbo, ndr) dopo il 2 agosto. Ne ho un ricordo preciso, perché era una casa piccola e c’erano anche mia madre, mio fratello, i miei nonni e bisnonni. Una situazione di cattività e non potevo muovermi o parlare, altrimenti erano botte. Se si fosse allontanato ne sarei stato felice”. Il padre, morto nel 2002, è stato tra i principali accusatori di Fioravanti e Mambro. L’uomo affermò di avere incontrato Giusva il 4 agosto perché gli servivano dei documenti e il capo dei Nar gli avrebbe detto: “Hai visto che botto”.
Già nel 2007, nel corso di una intervista in una trasmissione televisiva della Rai, Stefano Sparti aveva smentito le affermazioni del padre così come fatto dalla madre, Maria Teresa Venanzi, nel corso dei processi. Nel corso dell’audizione al processo di Bologna, Sparti affermò che Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, il 2 agosto di 42 anni fa, aveva pranzato con lui e la sua famiglia a Cura di Vetralla. Parole che gli costarono l’accusa della Procura di falsa testimonianza aggravata e un processo tutt’ora in corso. Nel procedimento sono imputati anche Luigi Ciavardini e Vincenzo Vinciguerra e come parti civili si sono costituite anche una quarantina tra parenti e vittime della strage oltre alla Presidenza del Consiglio, il ministero dell’Interno e quello delle Infrastrutture e Trasporti, il Comune di Bologna e la Regione Emilia-Romagna.