La professoressa Giovanna Cristina Vivinetto, non doveva essere licenziata perché transessuale. A dirlo è una sentenza del Tribunale capitolino che ha riconosciuto «l’illegittimità del recesso della scuola dal contratto di lavoro». Per il giudice «può ritenersi adeguatamente provato che le ragioni che hanno indotto la società resistente a risolvere il rapporto di lavoro con la Vivinetto siano ascrivibili proprio alla sua condizione di transessuale».
E’ quanto scrive il Corriere della Sera.
L’Istituto paritario Kennedy è stato condannato a risarcire la docente con circa 11mila euro, l’equivalente degli stipendi non percepiti dal licenziamento al termine del contratto di collaborazione (che sarebbe scaduto alla fine dell’anno scolastico). «Giustizia è fatta!», è stato il primo commento della docente e poetessa, dando notizia della sentenza sui social. I fatti risalgono all’autunno del 2019, quando la professoressa Vivinetto, allora 25enne e già vincitrice del premio Viareggio opera prima con la raccolta «Dolore minimo», viene licenziata dall’istituto privato dopo solo tre settimane di lavoro.
«All’inizio mi dissero che i genitori si erano lamentati del fatto che spiegavo troppo velocemente e che ero indietro nel programma», racconta. Ma è un ex compagno dell’università, chiamato dalla stessa scuola per un colloquio di lavoro, a raccontare un’altra versione: «L’istituto gli aveva chiesto di togliersi il piercing – sintetizza Vivinetto – avvisandolo che erano molto rigidi, tanto da aver licenziato la professoressa di Lettere perché transessuale».
Parte così la causa civile arrivata a sentenza lo scorso 2 novembre, ma le cui motivazioni sono state rese note solo in questi giorni. «Durante il processo sono stata dipinta da un lato come una scansafatiche e dall’altro come una depravata – ricorda la professoressa -. Una mamma di un’alunna che non era della mia classe ha testimoniato che la figlia aveva sentito da altre persone che facevo delle domande di natura sessuale ai ragazzi». La testimonianza, sottolinea la poetessa, non è stata accolta dal giudice. «Ho querelato la signora per diffamazione», chiarisce Vivinetto. Che aggiunge: «Fa sorridere perché è come l’ignorante medio dipinge la persona transessuale: fissata con il sesso, iper sessualizzata e altri pregiudizi simili».
Oggi Vivinetto è una professoressa di sostegno di ruolo in una scuola media. «È stato difficile all’inizio, perché era la prima volta nella mia vita che venivo discriminata e ho iniziato a guardare l’altro con sospetto», dice Vivinetto. Proprio a scuola però la donna ha ritrovato sicurezza: «Mi ricordo di una mia alunna, mi disse che i suoi genitori avevano letto la mia storia e che mi stimavano tantissimo. Voglio dire a chi affronta una discriminazione di genere di non sentirsi solo, meritiamo i nostri diritti ed è giusto manifestare il nostro dissenso».