Ama, sindacati sul piede di guerra in una Capitale sempre più sporca

Il 13 maggio mobilitazione dei Cobas. Intanto l'azienda naviga a vista nonostante le ingenti risorse pubbliche stanziate dal Campidoglio grazie alla Tari

Una strada di Roma Nord (aprile 2018)

“Far lavorare di domenica i dipendenti Ama non risponde a criteri di efficientamento del servizio, ma ha solo una funzione di immagine”. Con questa accusa, i Cobas puntano il dito contro l’amministrazione di Virginia Raggi che dovrà fare i conti con lo sciopero dell’Azienda municipalizzata di raccolta dei rifiuti (Ama) in programma domenica 13 maggio. Per il sindacato, il Campidoglio si occupa insomma più della forma che non della sostanza. E la sostanza sono le strade sporche della Capitale, l’instabilità dello staff manageriale che mette a rischio il futuro dell’azienda, un sistema integrato dei rifiuti che fa acqua da tutte le parti e una situazione finanziaria tutt’altro che florida. Anche a dispetto del fatto che il Campidoglio versi all’Ama oltre 739 milioni (dato 2016) per il servizio rifiuti grazie agli incassi della Tari.

Del resto, spulciando l’ultimo bilancio disponibile (2016) dell’Ama, si capisce che la questione strade sporche sia solo la parte più visibile di un caos in cui giocano un ruolo chiave gli intrecci fra controllate pubbliche e politica locale. Nei conti della società che il Comune controlla al 100% ci sono crediti commerciali non ancora riscossi nei confronti di altre aziende pubbliche come Acea e Atac, verso il Campidoglio per la Tari non versata e persino 5,8 milioni di crediti fra cui spuntano soldi da incassare dalla Presidenza del Consiglio per il Giubileo del Duemila. Un evento di ben 18 anni fa. Per non parlare di quelle 650 azioni Parmalat sottoscritte nel 2015 in cambio del valore nominale del credito vantato nei confronti della società in amministrazione straordinaria. Dall’altro lato della bilancia c’è invece un fardello da 1,6 miliardi di debiti di cui 502 milioni verso le banche, 224 verso i fornitori e 666 milioni verso il Campidoglio. Un passivo che è legato a doppio filo con una storia costellata da scandali come quello sulla parentopoli nell’era dell’ex amministratore delegato  Franco Panzironi o, ancora, in tempi più recenti sull’ipotesi di sottoutilizzazione degli impianti di Rocca Cencia e di via Salaria per favorire i privati. Per non tacere la pratica delle “strette di mano” nell’affidamento degli appalti ad aziende terze come la Colari di Manlio Cerrone, il plurindagato patron della discarica di Malagrotta.

Per la società pubblica l’unica magra consolazione sta nel fatto di aver chiuso il bilancio 2016 in utile per 626 mila euro nonostante i ritardi nei pagamenti dell’amministrazione capitolina.

Sulla carta la gestione sotto la guida dell’ex ad Antonella Giglio è migliorata (+19% il margine operativo rispetto al 2015 e i costi operativi si sono assottigliati (-9,7 milioni). Ma siamo anni luce lontani da una situazione efficiente: il servizio è ancora assolutamente incapace di soddisfare un bacino d’utenza da quasi 3 milioni di persone. Anche a dispetto del fatto che la società dia lavoro a settemilaottocento dipendenti che costano poco più di 360 milioni l’anno, con una media lorda per dipendente da 46mila euro.

“Ama effettua quotidianamente operazioni di spazzamento intervenendo su un’area pari a 7 volte Milano, 10 volte Parigi o Barcellona – spiega l’azienda -. Il servizio è organizzato h24 sette giorni su sette, senza distinzioni tra giorni feriali e festivi”. Ma non tutti i dipendenti sono impegnati a ripulire quotidianamente 3370 Km di strade su una superficie di 1.285 kmq, da cui annualmente si raccolgono circa 1,78 milioni di tonnellate di rifiuti. Molti sono impiegati in attività amministrative dell’azienda i cui servizi sono coperti dall’odiata Tassa sui rifiuti (Tari) destinata, almeno in teoria, ad essere proporzionale alla virtuosità dei cittadini. In teoria perchè quand’anche i romani fossero i più ecologici d’Italia la loro Tari difficilmente potrebbe scendere visto che gli introiti della tassa servono a mantenere in piedi un’azienda pubblica superindebitata in cui le ristrutturazioni sono dolorose sia per i lavoratori che per la politica.

Ma se non si può sperare in un abbassamento significativo della Tari, i romani possono almeno confidare nella ristrutturazione dell’Ama e sperare di non vedere più Roma sporca e abbandonata a se stessa? L’operazione è assai complessa. Anche perché oltre allo spazzamento della capitale, l’Ama gestisce tutta la filiera del rifiuto urbano romano che nel 2016 ha prodotto 1,69 milioni di tonnellate di immondizia con oltre 965mila tonnellate di indifferenziata. Inoltre l’azienda ha anche il compito di promuovere la differenziata e di multare eventuali comportamenti impropri dell’utenza sul territorio servito dall’azienda. Insomma chi più ne ha, più ne metta. Tanto più che, come riferisce la relazione sul governo societario 2016, la società, che gestisce gli impianti per la produzione di Cdr di Rocca Cencia e di via Salaria 981, è a corto di mezzi.

“E’ possibile indisponibilità dei veicoli e delle attrezzature funzionali all’espletamento dei servizi – si legge nel documento datato 3 maggio 2017 – Tale rischio può essere determinato dallo stato del parco mezzi e da ritardi nelle attività di manutenzione ordinaria/riparazione, nonché talvolta da comportamenti non corretti del personale addetto”. Segno insomma che il Campidoglio coprirà anche i costi del funzionamento dell’azienda con la Tari, ma la società però ha bisogno di un cambio di mentalità, di una pesante cura dimagrante e di corposi investimenti nell’interesse dei cittadini, della Capitale e della stessa immagine del Paese.

Di qui i licenziamenti della controllata Multiservizi e il tentativo di far cassa con la cessione della Ep Sistemi, collegata (40%) in rosso che gestisce l’impianto di termovalorizzazione di Colleferro. La gara è in divenire. Ma l’effettiva vendita è tutt’altro che scontata. E l’esito rischia di essere assi doloroso per i lavoratori.

“Lo stato di degrado in cui versa la città, e che peggiora giorno dopo giorno, è da ascrivere alle politiche scellerate che in questi anni le varie amministrazioni comunali, provinciali e regionali hanno portato avanti con subalternità ai privati e con una totale mancanza di investimenti negli impianti e mezzi” ha precisato la Cobas, che assieme alle altre sigle sindacali si è opposta all’introduzione di braccialetti elettronici per il controllo del personale in stile Amazon.

“I lavoratori e le lavoratrici di Ama che ogni giorno prestano la loro opera in condizioni difficili, vedi i luoghi insalubri degli impianti, vedi la mancanza di mezzi oppure i cassonetti fatiscenti, sono stanchi di pagare per colpe non loro la disorganizzazione del lavoro” ha concluso il sindacato. Ma anche i romani sono stanchi del degrado ormai diffuso nelle strade della Capitale. Un problema difficile da risolvere, ma non impossibile con l’azione  congiunta e coraggiosa di Campidoglio e Regione Lazio.

© StudioColosseo s.r.l. - studiocolosseo@pec.it
Il Sito è iscritto nel Registro della Stampa del Tribunale di Roma n.10/2014 del 13/02/2014