Elezioni/ Salvini e il suo ‘pallino’ di portare via i ministeri da Roma

nei giorni scorsi ha proposto di aprire a Milano una sede del "ministero per l'Intelligenza artificiale, l'innovazione e la digitalizzazione"

Spostare qualche ministero da Roma era un vecchio pallino della Lega Nord di Umberto Bossi che cavalcava il decentramento federalista. Ma lo è ancora del sovranista Matteo Salvini che nei giorni scorsi ha proposto di aprire a Milano una sede del “ministero per l’Intelligenza artificiale, l’innovazione e la digitalizzazione” (cioè, l’attuale Innovazione tecnologica), e nel 2018 lanciò l’idea di trasferire “a Napoli o Bari il ministero delle Infrastrutture”. Non se ne fece niente allora e, con tutta probabilità, non se ne farà niente anche stavolta. Il motivo è giuridico-costituzionale ed emerse con tutta evidenza nel 2011, quando l’iniziativa fu tentata per la prima e ultima volta, visto che si risolse in un fiasco. Il 7 giugno, con i decreti degli allora ministri Bossi e Roberto Calderoli, il governo Berlusconi diede il via allo spostamento a Monza di “sedi distaccate” dei ministeri delle Economia, della Semplificazione normativa e delle Riforme.

Nonostante i rilievi del Quirinale, l’inaugurazione in pompa magna avvenne il 23 luglio alla Villa Reale, dove un centinaio di metri quadrati di superficie era stato riadattato a uffici con scrivanie, mobilio e perfino, in alcune stanze, con la foto di Bossi al fianco di quella dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “E’ la realizzazione di un sogno”, dichiarò Calderoli raggiante. Ma l’euforia fu di breve durata. Il 9 novembre il tribunale di Roma bloccò tutto, annullando i decreti e condannando la presidenza del Consiglio per “comportamento antisindacale”, dal momento che le rappresentanze dei lavoratori non erano state preventivamente informate sul progetto di trasferimento. Tre giorni dopo, il 12 novembre, Silvio Berlusconi fu costretto alle dimissioni, e il governo successivo di Mario Monti non si oppose alla sentenza del tribunale. Anche perché il merito delle ragioni ostative allo spostamento dei ministeri da Roma era già stato messo nero su bianco da Napolitano, in una lettera inviata a Palazzo Chigi il 27 luglio, cioè solo quattro giorni dopo l’emanazione dei decreti ministeriali.

In sostanza, a indicare nella Capitale la sede degli organi costituzionali (compresi governo e ministeri) non è solo un regio decreto del 1871 “ancora pienamente vigente”, ma anche il Titolo V della Costituzione, e perfino la legge sul federalismo fiscale approvata dal centrodestra nel 2009, che all’art. 24 stabilisce: “L’ordinamento di Roma capitale è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli organi costituzionali”. Ora, è vero che il regio decreto si può superare con legge ordinaria, ma la Costituzione difficilmente potrebbe essere modificata nella parte che riguarda la forma repubblicana “una e indivisibile”.

 

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