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Referendum: le modifiche sulla disciplina del lavoro previste dai cinque quesiti

Roma ospiterà l'evento principale di chiusura della campagna referendaria, il 6 giugno pomeriggio in piazza a Testaccio

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L’8 e il 9 giugno in Italia si vota per i referendum abrogativi sul lavoro. Roma ospiterà l’evento principale di chiusura della campagna referendaria, il 6 giugno pomeriggio in piazza a Testaccio, con il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini. Sono cinque i quesiti posti all’elettore: i primi due riguardano i licenziamenti, il terzo punta a regolamentare l’uso dei contratti a tempo determinato, il quarto interessa i risarcimenti per gli infortuni e i decessi sul lavoro, il quinto infine guarda alla regolarizzazione e all’accesso alla cittadinanza italiana per i lavoratori stranieri.

Nel dettaglio i primi due quesiti referendari “Contratto di lavoro a tutele crescenti. Disciplina dei licenziamenti illegittimi: abrogazione” e “Piccole imprese. Licenziamenti e relativa indennità: abrogazione parziale” sono collegati: il primo cancella la norma che prevede, in caso di licenziamento illegittimo, soltanto un indennizzo ma non il reintegro del lavoratore qualora l’azienda abbia meno di 15 dipendenti. Il quesito chiede che qualora un giudice accerti che lo scioglimento del contratto non sia legittimo, il lavoratore possa essere sia rimborsato che reinserito. Il provvedimento non riguarda i licenziamenti per giusta causa, dalle crisi aziendali alle inadempienze del lavoratore. Il secondo fa decadere invece la norma che prevede, in base al numero di dipendenti dell’azienda, un massimale per l’indennizzo al lavoratore licenziato ingiustamente e chiede quindi che l’entità della compensazione sia stabilita dal giudice.

“Oggi a un lavoratore che viene licenziato ingiustamente, viene rovinata la vita. Perde il salario immediatamente, non può più far fronte ai propri bisogni e per avere giustizia deve decidere di denunciare il proprio datore di lavoro e avviare un procedimento, una causa”, spiega il segretario della Cgil di Roma e Lazio, Natale Di Cola, in una intervista all’agenzia Nova.

“Il lavoratore deve affrontare un procedimento, che può durare due o più anni, e forse come risarcimento al massimo può avere un indennizzo – aggiunge -. La sua dignità viene monetizzata, il lavoro si trasforma in merce. Ma soprattutto, se il licenziamento è illegittimo e quindi c’è un giudice che dice che quel licenziamento non doveva esserci, quel lavoratore non potrà avere giustizia piena se non viene reintegrato sul posto di lavoro”. Il primo quesito “si collega al secondo – chiarisce Di Cola – perché nel nostro Paese purtroppo il reintegro è previsto solo per le aziende che hanno più di 15 dipendenti, per le aziende sotto i 15 dipendenti è previsto solo l’indennizzo. Siccome il mondo del lavoro è cambiato, con il secondo quesito proponiamo di lasciare sempre a un giudice la libertà di capire il vero danno occorso al lavoratore ingiustamente licenziato. Diciamo quindi che non deve esserci un massimale per l’indennizzo, perché ci sono aziende che magari hanno 14 dipendenti ma hanno fatturati milionari e può succedere che un lavoratore di un’azienda media, a causa della scelta del proprio datore di lavoro, abbia danni più ampi: magari perde la casa o ha un problema di depressione, è giusto che ci possa essere un giudice che valuti gli effetti di quella scelta e di conseguenza il giusto indennizzo”.

Il terzo quesito “Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi” è rivolto ai contratti a tempo determinato che in Italia si articolano in 46 tipologie. Il quesito chiede di cancellare la norma per la quale è possibile sottoscrivere un accordo a termine senza indicarne la motivazione, si domanda quindi che il datore di lavoro indichi sul contratto la motivazione per cui viene scelto il tempo determinato. “In questi trent’anni ci hanno raccontato che la flessibilità sarebbe stata la strategia con cui rilanciare il nostro Paese, permettendo alle aziende di avere un po’ di mano libera nel rapporto con le lavoratrici e i lavoratori, però oggi la flessibilità va chiamata con il giusto nome: la precarietà. Dopo il 2015, cioè negli ultimi dieci anni, abbiamo avuto un’impennata dei contratti a termine che supera il 35 per cento, su 100 nuovi rapporti di lavoro a oggi 85 sono precari e il 20 per cento delle persone a 5 anni dal contratto è ancora precario – dice Di Cola -. I contratti a tempo determinato sono legittimi e nessuno li vuole cancellare, ma chiediamo che vengano vincolati a una causale. Ad esempio se una persona va in maternità o ha un infortunio è giusto che venga sostituita, ma quando rientrano hanno diritto al loro posto di lavoro. Ci sono anche motivazioni legate a riorganizzazioni o trasformazioni aziendali, picchi produttivi: è normale ed è previsto dai contratti che ci sia una quota definita di tempo determinato ma chiediamo che sia legata a una causale, a differenza di quanto avviene oggi e cioè che per i primi 12 mesi i contratti di lavoro a tempo determinato posso essere fatti senza alcuna causale”.

Il quarto quesito “Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: abrogazione” prevede la decadenza della norma che impedisce al dipendente infortunato o deceduto sul luogo di lavoro, e impiegato in una ditta in subappalto, di rivalersi per il risarcimento sull’azienda responsabile dell’appalto in caso di insolvenza della ditta presso cui presta o prestava manodopera. “L’altro grave male della nostra società è il lavoro insicuro. Gli incidenti e le morti sul lavoro distruggono la nostra società. I morti in Italia nel 2024 sono più di mille l’anno, più di cento nel Lazio, e poca attenzione si dà agli infortuni che sono oltre 500.000 e all’aumento delle malattie professionali – afferma Di Cola -. Un’impresa che ha un sistema selvaggio di appalti e subappalti, ha un numero di infortuni molto maggiore: le statistiche sono lampanti in questo senso. Dove non c’è precarietà e dove ci sono i rappresentanti della sicurezza c’è un numero di infortuni che va da 5 a 10 volte meno. Nel sistema dei subappalti alle piccolissime aziende e del grande turnover del precariato si annida la stragrande maggioranza degli infortuni ed è un dato che è cresciuto negli ultimi dieci anni. Per fermare la strage bisogna cambiare il codice degli appalti, ma non lo si può fare con un referendum. Tuttavia con il quarto quesito diamo la possibilità alle persone, a cui viene rovinata la vita, e a quelle famiglie che perdono i propri cari o hanno a casa un invalido di potersi rivolgere all’azienda madre e non soltanto alla piccola azienda che ha vinto l’appalto o il subappalto, e che talvolta fallisce o è insolvente”.

Il quinto e ultimo quesito “Cittadinanza italiana: dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana” come da impianto della domanda referendaria prevede che sia concessa la cittadinanza al lavoratore straniero che abbia residenza nel territorio italiano in 5 invece che in 10 anni.

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