Fiera di Roma: il 23 marzo i fornitori decidono il futuro

Crac Fiera di Roma: flop politico alla vigilia elezioni

 

Si deciderà nel giro di un mese il destino della Fiera di Roma. Il gruppo, che gestisce gli spazi espositivi della capitale, ha ottenuto dieci milioni di risorse fresche da parte di Unicredit. Ma ora, per entrare nella fase operativa della ristrutturazione, sarà necessario l’ok al piano di rientro dei debiti da parte dei fornitori che dovranno esprimersi entro il 23 marzo. Se per quella data non si riuscirà a trovare un accordo, allora la società andrà in fallimento schiacciata dal peso di 200 milioni di debiti.

  

La partita è assai delicata anche perché il crac sarebbe un pesante flop politico nel bel mezzo di una campagna elettorale romana davvero infuocata. La Fiera di Roma è infatti controllata dalla Investimenti spa, di cui sono soci la Camera di Commercio di Roma (58,5%), il Comune di Roma (21,8%) la Regione e la sua partecipata Sviluppo Lazio (entrambe al 9,8%).  E’, in altre parole, una società a controllo pubblico che non è riuscita a decollare nonostante i mille buoni propositi della politica romana. 

 

In teoria, infatti, la riqualificazione degli spazi della vecchia fiera avrebbe dovuto portare denaro fresco per finanziare il nuovo polo di Fiumicino. In realtà poi le cose sono andate diversamente. I ritardi della politica hanno bloccato per un decennio il piano di risanamento dei vecchi capannoni di via Colombo, zona della capitale molto ambita perché lungo l’asse di collegamento fra il centro e il quartiere dell’Eur. Solo a luglio dello scorso anno la giunta di Ignazio Marino ha finalmente dato l’ok al riassetto dell’area per una volumetria complessiva di poco superiore ai 65mila metri quadrati. Nonostante la crisi del mattone, l’operazione aveva anche suscitato l’interesse di alcuni gruppi di costruzioni come Salini, Condotte e Caltagirone. E, sulla partita, era poi spuntato anche il nome della società belga Photonike capital, che si è detta disponibile ad acquistare non solo il nuovo polo, ma anche la vecchia fiera. Debiti e progetti immobiliari inclusi. 

 

La crisi politica del Campidoglio ha pero’ nuovamente frenato i piani di rilancio della Fiera il cui giro d’affari, intanto, scivola inesorabilmente. Nel 2015, il fatturato è infatti sceso a 19 milioni contro i 21 dell’esercizio precedente. Il bilancio di quest’anno dovrebbe chiudersi attorno alla parità per effetto di un’intensa cura dimagrante. Ma il problema è che non ci sono piani di sviluppo per un futuro su cui pesa l’incognita del via libera dei fornitori. Come se non bastasse, con l’approvazione dei decreti legislativi della riforma della pubblica amministrazione siglati da Marianna Madia, è arrivato poi anche il fardello della ristrutturazione delle partecipate.

Un nodo in più da sciogliere per il polo fieristico di Roma, che al pari delle altre capitali europee, merita uno spazio fieristico all’avanguardia, vetrina del meglio del Paese. (Elena de Santis) 

 

       

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