Un giorno di ordinaria follia negli italici uffici

Resoconto, tragicomico, di una mattinata al Tribunale Civile di Roma, nella speranza di ottenere un documento.

Ore 9.00, Tribunale Civile di Roma, Viale Giulio Cesare.
“Buongiorno, avrei bisogno di una informazione: dovrei ritirare una copia della mia sentenza di separazione”.
“Stanza 234″, mi risponde l’impiegato allo sportello delle informazioni. “Deve andare al secondo piano, prenda il corridoio a destra, poi giri alla prima a sinistra, superi le scale e la troverà poco prima del distributore delle bibite”.
Fingo di aver compreso tutte le indicazioni e mi avvio lungo i labirintici meandri del Tribunale. Intorno a me, già di prima mattina, c’è una miriade di persone, fra avvocati, cittadini e impiegati, tutti agitati come se ci trovassimo in un operoso formicaio. Percorro pochi passi e già mi accorgo di non rammentare le informazioni ricevute. Quindi, prima di dimenticarmele completamente, accelero il passo, salgo le scale, giro a destra, prendo la terza a sinistra, supero un bagno e trovo la stanza… almeno credo.

“Buongiorno, mi chiamo Mario Rossi e dovrei ritirare la copia della mia sentenza di separazione numero 2039/2017”.
“Mi dispiace ma non è qui. Deve andare alla stanza 236. La trova dopo la cancelleria”.
Perplesso per aver ricevuto delle indicazioni sbagliate, esco dalla stanza, percorro pochi metri e ci sono. Forse…

“Buongiorno, dovrei ritirare la copia della mia sentenza di separazione”.
“Bene – mi dice la terza impiegata – compili questo modulo, poi prenda il numeretto”.
Eseguo. Mi avvio nuovamente , prendo il numeretto, compilo il modulo e ritorno dalla signora.
“Ho il modulo e il numeretto, ora cosa devo fare?”.
“Vada alla stanza 2345677 e chieda della signora Mariotti. E’ due porte dopo questa”.
A quel punto penso che sia talmente facile che ci rimango anche un po’ male. Ma, tant’è, con il foglio in mano, mi presento dalla sig.ra Mariotti. “Buongiorno – le dico mentre le consegno il modulo – dovrei ritirare la copia della mia sentenza di separazione”.
“Ma lei ha già preso anche il numero del registro del Comma Biquadro del Faldone Misterioso?”.
“Eh no non lo tengo – rispondo – questa mattina sono venuto in Tribunale ancora a digiuno!”.
“Allora mi ascolti attentamente, vada al piano terra, cerchi l’Ufficio Registri e torni qui”.

Oramai, semi morto e incapace di porre alcuna resistenza, eseguo senza fiatare. Così riscendo, rigiro, canto, corro, saltello, faccio un paio di giravolte, salto il fossato, rispondo a un quiz con risposta multipla, prendo il numero e torno al secondo piano.
“Salve, come da lei indicatomi, ho preso il numero del registro. Non sono bravissimo?”.
“Fantastico, ora deve prendere due marche da bollo. Le può acquistare al primo piano, stanza 23.
Si ricordi bene, le servirà una marca da 4,23 centesimi e, una seconda, da 2 euro. E’ tutto chiaro?”.
“Ma certo, come potrebbe essere altrimenti? E’ tutto il giorno che salgo e scendo le scale e, oramai, ci sto quasi prendendo gusto. Ma, mi tolga una curiosità, siamo a Giochi senza Frontiere e, alla fine, mi darete un premio?”. La signora non coglie l’ironia ma non indugio oltre e mi preparo per affrontare anche la missione: “Marche da bollo”.

Circa quindici minuti dopo, oramai invecchiato di almeno venti anni, spettinato, sudato e con il nodo alla cravatta che sembra quasi un cappio, mi ripresento dall’addetta. “Ho le marche da bollo che mi ha richiesto”. “Bravissimo – commenta appena mi vede – ora ho tutto quello che serve. Mi faccia controllare un attimo”.

A quel punto mi dà le spalle, compie pochi passi e scompare per alcuni minuti, dietro una libreria con i ripiani in metallo. Poi riappare come fosse la Madonna di Fatima ma senza la medesima commiserazione, sentenzia:
“Signor Rossi, il suo documento sarà disponibile la prossima settimana!”.
“Oddio, la prossima settimana? In che stanza? A che piano? Non potevate darmi una coltellata, direttamente questa mattina, appena sono entrato in Tribunale? Vi assicuro che avrei sofferto di meno…”.

Quindi, riepilogando, sono stato in Tribunale almeno due ore. Ho dovuto prendere un permesso in ufficio, ho ricevuto informazioni false e tendenziose, ho visitato moltissime stanze dello stabile, ho salito e sceso così tante scale che m’è sembrato d’essere stato in palestra… ma non ho ottenuto nessun documento!
Eppure, se si utilizzasse un minimo di tecnologia, verremmo annichiliti di meno da una inconcepibile burocrazia anni ’20. Viva l’Italia che ci rende tutti, sia noi cittadini sia gli stessi impiegati, dei poveri Fantozzi.

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