La regione Lazio ha attivato il tracciamento delle persone entrate in contatto con il contagiato
Dopo i recenti casi in Europa e Nord America anche in Italia viene accertato un paziente affetto da vaiolo delle scimmie: è un uomo tornato dalle isole Canarie, fa sapere l’Istituto Spallanzani che ha sequenziato il virus.
L’uomo è ora ricoverato in isolamento e le sue condizioni sono “discrete”, dicono i medici.
La regione Lazio ha attivato il tracciamento delle persone entrate in contatto con il contagiato, mentre l’Iss ha istituito una task force e altri due casi sospetti sono sotto la lente dello Spallanzani.
La malattia dà febbre, dolori muscolari, cefalea, linfonodi gonfi, stanchezza e manifestazioni cutanee con vescicole, pustole e piccole croste. Si tratta di un’infezione causata da un virus della stessa famiglia del vaiolo ma meno trasmissibile e meno grave. E’ diffusa prevalentemente tra scimmie e roditori e si trasmette attraverso droplets, contatto con fluidi corporei o con le lesioni cutanee.
“Se la malattia viene diagnosticata precocemente, è possibile utilizzare una terapia per tenerla sotto controllo – spiega il microbiologo dell’Università di Padova, Andrea Crisanti – Il problema vero è che nessun medico ha mai visto il vaiolo umano e tanto meno quello delle scimmie e questo provoca spesso un problema di ritardata diagnosi”.
Secondo l’Iss, “è possibile che le persone che non sono state vaccinate contro il vaiolo, siano a maggior rischio di infezione con il monkeypox per l’assenza di anticorpi che, per la similitudine del virus del vaiolo con il monkeypox, possono essere efficaci a contrastare anche questa virosi”.
E anche il Centro europeo per la prevenzione e controllo delle malattie (Ecdc) fa sapere che “sta monitorando da vicino la situazione”. La malattia il più delle volte si risolve spontaneamente in due settimane ma per facilitare la guarigione, soprattutto nei pazienti fragili, possono essere somministrati antivirali.
L‘infezione è poco frequente nell’uomo e comunque fuori dall’Africa, ma negli anni sono stati riportati casi sporadici e anche un’epidemia negli Stati Uniti nel 2003, in seguito all’importazione dall’Africa di animali non adeguatamente controllati sotto il profilo sanitario.
“Esiste da tempo – prosegue Crisanti – e in Sud America è emersa come risultato del disboscamento delle foreste amazzoniche, con conseguente maggiore contatto tra specie animali selvatiche e uomo”.
“È ancora una volta, un risultato del maltrattamento cui stiamo costringendo il nostro pianeta”, conclude.