Categorie: Cronaca

Il legame di Papa Francesco con le periferie di Roma

Nel 2015, l’incontro con i fedeli di Tor Bella Monaca, ad aprile 2018, il Pontefice incontra i bambini di una parrocchia a Corviale

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Nel suo lungo pontificato, iniziato il 13 marzo 2013, Papa Francesco ha costruito un fortissimo legame con Roma, e le sue periferie. Nonostante i molteplici impegni e viaggi apostolici, Jorge Mario Bergoglio, non ha mai abbandonato “quegli angoli alla fine del mondo”, instaurando un rapporto di cura ed amore, “una pietra dietro l’altra”.

“Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui… Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie”, furono le sue prime parole. Una Chiesa che è uscita della chiesa ed è andata incontro alla sua gente. Come quando, ad aprile 2018, il Pontefice ha incontrato i bambini di una parrocchia a Corviale, ed in particolare uno, il piccolo Emanuele.

“Papà era ateo. Ma ci ha fatto battezzare, noi figli, tutti e quattro. Era un uomo bravo. È in cielo, papà?”, ha chiesto tra le lacrime il piccolo al Santo Padre. E come un nonno buono, in un caloroso abbraccio, con parole semplici Papa Francesco rispose: “Magari tutti noi potessimo piangere come Emanuele, quando avremo un dolore come ha lui nel cuore. Lui piangeva per il papà. E ha avuto il coraggio di farlo davanti a noi, perché nel suo cuore c’è l’amore del papà. Io ho chiesto il permesso a Emanuele di dire in pubblico la sua domanda e lui mi ha detto di sì. Per questo la dirò. Chi dice chi va in cielo è Dio, ma come è il cuore di Dio davanti a un papà così? Dio ha un cuore di papà. Voi pensate che Dio sarebbe capace di lasciarlo lontano? Dio abbandona i suoi figli? Li abbandona, quando sono bravi? Emanuele, questa è la risposta: Dio sicuramente era fiero di tuo papà, perché è più facile battezzare i figli essendo credente che non essendolo. E sicuramente a Dio questo è piaciuto tanto. Parla con tuo papà, prega tuo papà”.

Qualche anno prima, nel 2015, l’incontro con i fedeli di Tor Bella Monaca, nella parrocchia di Santa Maria Madre del Redentore dove incontrò 80 ammalati e disabili ospiti del centro “Santa Giovanna Antida”, in via dell’Archeologia. “Dobbiamo stare vicino alla gente, noi non possiamo andare con il tu devi, tu devi, ma con quella vicinanza che è la carezza che Gesù ci ha insegnato. Vicinanza anche a chi so che ha fatto fuori due, tre persone? Sì, avvicinati, perché anche quello ha un cuore e c’è tanta ingiustizia”, aveva detto. “Noi non possiamo ingannare Gesù: non possiamo fare finta di essere santi. Non possiamo fare la doppia faccia: cioè fare la parte del giusto, di colui che va a messa tutte le domeniche, per coprire il peccato nascosto. Questo non è essere cattolico: è essere ipocrita”. È davanti al policlinico Gemelli che Papa Francesco incontra invece una giovane coppia che aveva da poco perso la figlia di 4 anni, Angelica. Un lungo abbraccio e poi la preghiera. Ed ancora nel 2019, a Casal Bertone, nella chiesa Santa Maria Consolatrice dove come sempre era stato accolto dal calore e dall’affetto dalla gente. Roma, una “città affamata di amore e di cura, che soffre di degrado e abbandono”, aveva affermato. “Davanti a tanti anziani soli, a famiglie in difficoltà, a giovani che stentano a guadagnarsi il pane e ad alimentare i sogni, il Signore ti dice: Tu stesso dà loro da mangiare”. E ancora: “Attenzione a chi grida più forte e con più rabbia, attenzione a chi trasmette arroganza, attenzione a chi disprezza e insulta”.

“Le odierne periferie sono segnate da troppe miserie, abitate da grandi solitudini e povere di reti sociali”, aveva detto il Santo Padre nel corso della Celebrazioni dei 150 anni di Roma Capitale. “C’è una domanda d’inclusione scritta nella vita dei poveri e di quanti, immigrati e rifugiati, vedono Roma come un approdo di salvezza. Spesso i loro occhi, incredibilmente, vedono la città con più attesa e speranza di noi romani che, per i molteplici problemi quotidiani, la guardiamo in modo pessimista, quasi fosse destinata alla decadenza”, le sue parole. Le periferie con i loro bambini, ragazzi, famiglie, anziani, malati, volontari, poveri, sempre al centro dell’azione apostolica di Francesco. Un Papa degli umili che nelle sue prime parole si affidò al suo popolo. “E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima… prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo”.

Un amore che si è manifestato nel desiderio di aprire simbolicamente una Porta Santa in carcere, proprio a Roma, nell’anno del Giubileo. E per l’occasione Francesco ha scelto la casa circondariale di Rebibbia, altra periferia della Capitale. “Ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui in un carcere. Ho voluto che ognuno di noi tutti che siamo qui, dentro e fuori, avessimo la possibilità anche di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude”, ha detto Papa Francesco in quell’occasione dove è prima rimasto seduto, con i paramenti rossi, davanti alla porta della chiesa del Padre Nostro, all’interno del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Poi si è alzato in piedi e per sei volte ha bussato alle ante di bronzo; a passi lenti ha attraversa il varco adornato per l’occasione con fiori e piante. Per la prima volta nella storia un Pontefice ha aperto una Porta Santa non in una Basilica ma all’interno di un penitenziario. Un gesto che ha portato il dono della speranza – tema dell’intero Anno Santo – in un luogo di reclusione e ristrettezze dove è facile che essa vada perduta.

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