L'esposizione a Palazzo Bonaparte è un viaggio nel genio (e nella follia) del pittore olandese. Molto più attuale di quanto si creda
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Sì, non c’erano i Girasoli e nemmeno la celeberrima Notte stellata. Eppure la mostra di Vincent van Gogh, a Palazzo Bonaparte (sì, quello appartenuto alla madre di Napoleone), merita i 18 euro del biglietto intero. Perché è un viaggio nei 37 anni (ma solo dieci come artista) del genio e della follia di uno dei più grandi artisti della storia. Van Gogh morì povero, suicida, pazzo. Eppure, a guardare uno solo dei suoi quadri, si rimane immobili, quasi impauriti da simile bellezza e perfezione.
La mostra, disposta su due piani per una manciata di sale ciascuno, è una discesa nell’arte e i suoi arcani. Non solo quadri, non solo spennellate. Anche installazioni, racconti, voci. Dall’infanzia olandese, intrisa delle critiche del padre, un pastore protestante che gli impartiva delle norme severe, fino alla decisione di diventare un pittore vero e proprio. Iniziò a dipingere tardi, van Gogh, all’età di ventisette anni, realizzando molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni di vita. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazioni di campi di grano e girasoli. Non divenne famoso, se non dopo la sua morte.
E così, colpisce, tra tutti, il Seminatore, mentre l’immenso I mangiatori di patate è come un pugno in uno stomaco, ricordandoci che povertà e miseria sono cose di questo tempo e non solo di 200 anni fa. Una mostra, quella di Palazzo Bonaparte, che non aggiunge particolari novità alla nostra comprensione del genio di van Gogh, ma che ha il pregio d’esser fondata su di un percorso che cerca di dare al visitatore il più possibile, e intende presentare la breve vicenda di nan Gogh non soltanto sotto il profilo umano (com’è ovvio e naturale che sia), ma anche, e forse soprattutto, da un punto di vista artistico e culturale.
Naturalmente, l’esposizione romana non tralascia le umane vicissitudini del pittore, a cominciare dalla folle e travagliata amicizia con Paul Gauguin. Di più. Vengono esplicitati con dovizia i suoi debiti artistici, anche se non è possibile osservare opere di confronto. Viene così restituita un’immagine dell’artista molto più precisa e veritiera rispetto a quella del Van Gogh mattoide impulsivo che s’è fissata nell’immaginario collettivo.