Israele-Hamas e i rischi di allargamento del conflitto

Dai Paesi arabi arrivano accuse a Gerusalemme per i "crimini" a Gaza

Hamas, la sua fine. O il suo futuro. Minacce e ragionamenti in prospettiva fatti mentre nella Striscia di Gaza risulta difficile parlare di “zone sicure”. Nell’enclave palestinese, che nel 2007 finì sotto il controllo del gruppo, continuano le operazioni israeliane scattate in risposta al terribile attacco del 7 ottobre in Israele e riprese dopo la fine, venerdì scorso, della pausa nelle ostilità. Dai Paesi arabi arrivano accuse a Israele per i “crimini” a Gaza. Israele insiste giorno dopo giorno nel suo obiettivo di “eliminare” Hamas. Ma, scrive il giornale israeliano Haaretz, nonostante le pressioni israeliane e americane, il leader turco Recep Tayyip Erdogan (oggi a Doha per il summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo), l’egiziano Abdel Fattah al-Sisi e altri leader del Medio Oriente “evitano di unirsi alla campagna per rimuovere Hamas” e non escludono che il gruppo possa restare protagonista nella leadership palestinese una volta che il conflitto sarà alle spalle.

“Dopo la guerra ci saranno un nuovo governo israeliano, una nuova leadership palestinese e una nuova Hamas”, ha detto nei giorni scorsi a La Repubblica Nasser al-Qudwa, nipote di Yasser Arafat, convinto che possa esserci una Hamas “diversa” e che “l’unica soluzione politica ragionevole” sia quella dei due Stati. Storicamente la questione palestinese è considerata una questione arabo-islamica. E se Israele insiste sui suoi obiettivi, altre voci chiedono la liberazione degli ostaggi trattenuti a Gaza dal 7 ottobre e un cessate il fuoco “umanitario”, aiuti alla popolazione civile della Striscia e una soluzione “duratura” per la questione israelo-palestinese e per la pace nella regione.

Israele insiste per l'”eliminazione” di Hamas, la “sconfitta” del gruppo, evidenzia Haaretz, non può limitarsi a schiacciarne le capacità militari a Gaza, bensì serve una “campagna globale per prosciugare le sue fonti” di finanziamento. La Francia, ad esempio, ha annunciato in queste ore il congelamento per sei mesi dei beni del capo del movimento Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, considerato l’architetto dell’attacco del 7 ottobre.

Se si punta alla “eliminazione” di Hamas va considerato che parte della leadership del gruppo è in Qatar e Libano. Ci sono, sottolinea ancora Haaretz, attivisti di Hamas con cittadinanza turca e il gruppo riceve sostegno da vari fronti, da Paesi africani e in America Latina, ma anche dalla Malaysia. Nei giorni scorsi il Wall Street Journal – ricordando la “lunga storia di omicidi mirati israeliani – scriveva che su ordine del premier israeliano Benjamin Netanyahu i servizi d’intelligence di Israele lavorerebbero a piani per dare la caccia ai leader di Hamas che vivono in Libano, Turchia e Qatar, si preparerebbero a “uccidere” esponenti nel gruppo “nel mondo” quando si “calmerà” il conflitto nella Striscia, creando le condizioni per una lunga campagna per dare la caccia ai responsabili del 7/10, l’11 settembre degli israeliani.

Proprio il Qatar, protagonista della mediazione tra Israele e Hamas, forte dei suoi rapporti con gli alleati occidentali di Israele e con esponenti del gruppo, ospita il summit del Golfo, “mentre a Gaza è sempre più tragedia”, come titola il quotidiano panarabo Asharq Al-Awsat. Sul tavolo del summit ci sono questioni di cooperazione – dall’economia alla sicurezza – ma a dominare i lavori sono gli sviluppi nella Striscia. “I Paesi del Golfo, che condannano la guerra israeliana contro i civili di Gaza, sono impegnati attivamente per fermare il conflitto e avviare un processo politico che porti alla fine dell’occupazione, che consenta ai palestinesi di stabilire un proprio stato indipendente”, scrive il giornale.

L’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani, non ha risparmiato accuse a Israele e alla comunità internazionale nel suo intervento. “E’ vergognoso per la comunità internazionale consentire il proseguimento da quasi due mesi di questo crimine atroce”, ha detto, denunciando “l’uccisione sistematica e deliberata di civili innocenti, donne e bambini compresi”, quello che considera un “genocidio”.

Ai lavori partecipano il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, delegazioni di Bahrein, Kuwait, Oman ed Emirati Arabi Uniti. E da Doha Erdogan, che considera il premier israeliano Benjamin Netanyahu un “criminale di guerra”, ha già ripetuto che “i crimini di guerra e contro l’umanità commessi da Israele a Gaza non dovrebbero rimanere senza risposta”‘.

Non una parola sul futuro di Hamas, che invece riempie le dichiarazioni della leadership politica e militare di Israele con l’obiettivo dichiarato dell'”eliminazione”. La Turchia di Erdogan, che è un Paese Nato, non considera il gruppo come un’organizzazione terroristica. E qui, sottolinea ancora Haaretz, gli Emirati investono miliardi di dollari, così come in Egitto, che ha fatto marcia indietro e tolto il gruppo dalla sua ‘blacklist’ e che è un altro protagonista di primo piano di queste settimane, come intermediario tra Israele e Hamas. “Interessi contrastanti” – scrive il giornale israeliano – che danno a leader come Erdogan, al-Thani, al-Sisi e altri “libertà d’azione” per evitare di unirsi alla campagna per “l’eiliminazione” di Hamas e continuare a non escludere, anzi a insistere, su un suo ruolo nella futura leadership politica.

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