Una Vita Violenta, Thierry de Peretti racconta la sua Corsica

Il regista dedica il film a una decade fondamentale nella storia dell’isola: gli anni del terrorismo e della lotta per l'indipendenza. Da oggi in sala con Kitchen Film

Alcuni dei protagonisti di Una vita violenta, un film di de Peretti dedicato ai giovani e alla lotta armata per l'indipendenza della Corsica

È al cinema da oggi Una Vita Violenta, il nuovo film del regista Thierry de Peretti nuovamente ambientato nella “sua” Corsica. Una storia di violenza e autodeterminazione che racconta gli anni più violenti dell’isola, da oggi in sala con Kitchen Film dopo il passaggio in Semaine de la Critique a Cannes nel 2017.

Il protagonista del film è Stéphane, un giovane piccolo borghese di Bastia che si ritrova a far parte di un gruppo armato che lotta per l’indipendenza dell’Isola. De Peretti è corso e aveva già diretto un film sull’Isola, Apache, perché è tornato a parlare della sua regione?

“Parlo di un momento molto particolare della Corsica, la fine degli anni 90 e l’inizio degli anni 2000, un periodo molto doloroso e sanguinario, quasi del tutto assente nel cinema. Da molto tempo pensavo a un pretesto per raccontare questa storia, dolorosa ma anche bella. Vengo dalla Corsica ed è lì che sviluppo il mio cinema”.

La storia scelta da de Peretti è quella di Stéphane ispirato a Nicolas Montigny, un giovane attivista nazionalista assassinato a Bastia nel 2001:

“È morto tragicamente nel 2001, avevamo degli amici in comune, è un uomo del suo tempo ma allo stesso tempo ha seguito un percorso atipico: si unisce alla cellula, un movimento clandestino nazionalista e molto conservatore. È un percorso molto singolare e corto perché muore a 28 anni, è un personaggio che ha fatto un percorso appassionante”. 

Il movimento di cui Montigny faceva parte era Amata Corsa, al quale il protagonista si avvicina durante gli anni del carcere:

“Nicolas ha fatto un’esperienza della politica brevissima: all’inizio lo vediamo che si fida poco del movimento quando è in prigione e rifiuta la questione nazionalista, ma a poco poco si forma e ascolta: in lui cresce un sentimento di ingiustizia che la Corsica ha subito dallo stato francese durante il secolo passato. Vive l’esperienza della clandestinità, della violenza, quella del tradimento, vive un’esperienza totale, tragica, al di là della politica, profondamente corta”.

Stéphane in una scena del film, ambientata nel 1994, vede un servizio al telegiornale sulla morte di Kurt Cobain e afferma che è meglio “morire bruciati che ardere lentamente”, il regista ha spiegato questo momento del film:

“È molto ambiguo, è un mito della giovinezza: vivere all’estremo fino a 30 anni è meglio che arrivare a 100 senza aver vissuto. Kurt Cobain è un eroe della generazione degli anni 90, era un modo di dimostrare che Stéphane è un ragazzo del suo tempo, finisce a essere conservatore senza esserlo. È un ragazzo connesso col suo tempo e che commette un errore, per me non poteva fare nient’altro”. 

Una generazione che perse la vita nella lotta all’indipendenza e all’autodeterminazione della Corsica:

“Per me parla anche dello spreco, era una generazione pronta a tutto per la lotta e che viene falciata nel pieno della loro giovinezza. Un modo di mostrare Stéphane una persona moderna e contemporanea, non passista”.

Stéphane, proprio come Kurt Cobain, sceglie di vivere più intensamente:

“Vivere in modo più intenso, morire giovani e velocemente è un motto punk che mi piace dal punto di vista poetico, ma si può avere 25 anni e vivere come un anziano avendo vecchi valori o essere punk quando si è anziani, c’è un romanticismo adolescenziale, naïf, ma che io amo molto”.

De Peretti la racconta la sua isola in modo ottimo nel suo secondo lungometraggio un’isola che ancora oggi ha delle difficoltà:

“Dal punto di vista politico, i nazionalisti sono al governo e c’è ancora un braccio di ferro con il governo di Macron che rifiuta il dialogo con gli autonomisti, un dialogo democratico. La situazione è molto tesa, mi preoccupa più il punto di vista sociale: è la regione più povera della Francia e la precarietà è molto problematica, come in altri posti d’Europa, le condizioni di vita sono difficili e si assiste alla disgregazione sociale”. 

Quello che si vede in Corsica non è molto diverso da quello accade in altre parti d’Europa, situazioni che la rendono una “polveriera”:

“C’è una situazione esplosiva in Europa, da una parte c’è l’ascesa dei populismi, dall’altra una radicalizzazione del liberalismo, piuttosto che momenti idealisti e anarchici, c’è prima di tutto un aumento della violenza liberale e un rifiuto della democrazia. Siamo in un momento di lotta, di transizione e combattimento”. 

In Una Vita Violenta molto spazio è dedicato alle questioni identitarie che, secondo il regista, vengono utilizzate per altri scopi:

“Per me la lotta per le questioni sociali è quella fondamentale, combattere per l’identità è una menzogna al servizio dell’interesse privato. Ci sono due fronti: uno contro l’economia del mercato e la radicalizzazione dei movimenti identitari, questi movimenti devono trovare delle modalità di lotta forti e differenti e devono avanzare restando uniti”.

Dopo Apache, anche Una Vita Violenta è dedicato alla sua amata Corsica, ma non chiamate de Peretti un regista “patriota”:

“Non mi considero un patriota, la Corsica non è la mia patria, è il posto al quale sono attaccato, sono nato lì, ho la mia famiglia lì e lavoro anche lì. Sono legato all’immaginario che è collegato all’isola, ma sì è un posto che amo e il mio film è dedicato all’isola”. 

Violento, crudo soprattutto nel descrivere una generazione che sceglie di perdersi per lottare contro il sistema, Una Vita Violenta vi aspetta al cinema, distribuito da Kitchen Film.

© StudioColosseo s.r.l. - studiocolosseo@pec.it
Il Sito è iscritto nel Registro della Stampa del Tribunale di Roma n.10/2014 del 13/02/2014