Il Tribunale di Roma ha condannato la compagnia di trasporti laziali Cotral SpA al risarcimento dei danni nei confronti di Stefano e Claudio, figli di Vincenzo Cecchini, autista di linea morto a 59 anni per adenocarcinoma polmonare da amianto. I due, informa l’Osservatorio Nazionale Amianto, riceveranno complessivamente 157mila euro di risarcimento.
L’azienda “prende atto della sentenza disposta dal tribunale di Roma e precisa che si tratta di fatti risalenti ad oltre vent’anni fa”. “Nel rispetto della normativa – si ribadisce in una nota -, nessun lavoratore impiegato presso gli impianti di Cotral Spa, e’ attualmente esposto al contatto con componenti che contengono polveri e fibre di amianto”
LA STORIA
Cecchini per oltre dieci anni è stato operaio, manovale d’officina, e poi autista per Cotral svolgendo, negli anni, anche mansioni consistenti nella manutenzione delle scale mobili delle stazioni della metropolitana di Roma che presentavano molte componenti in amianto. Come autista di linea ha condotto mezzi pesanti, autobus e pullman ancora con vari parti in asbesto, con esposizione a polveri e fibre di amianto. È stato esposto, quindi, alla fibra killer, così come a residui della combustione, benzene e altri cancerogeni per il sistema respiratorio, in assenza di strumenti di prevenzione tecnica e di protezione individuale.
L’uomo si è ammalato nel novembre 2010, morendo 8 mesi più tardi il 22 luglio2011.
Sono le prime sentenze di condanna seguite dall’Osservatorio Nazionale Amianto, di COTRAL Spa, dopo che molti dei lavoratori sono stati collocati in prepensionamento amianto. “Non sarà possibile restituire alla famiglia il loro caro, ma abbiamo ottenuto giustizia e un po’ di pace”, commenta il presidente Ezio Bonanni.
A guidare il convincimento del giudice del Lavoro, Valentina Cacace, è stata la sentenza del Tribunale di Roma, confermata in Appello nel dicembre 2022, che condanna la Cotral Spa al risarcimento di 78.714,03 euro per Laura Cristofanelli, vedova del Cecchini e mamma di Stefano e Claudio.
I consulenti tecnici di ufficio hanno riconosciuto “la sussistenza del nesso fra l’esposizione lavorativa e l’insorgenza dell’adenocarcinoma polmonare diagnosticato” alla vittima, richiamando le normative che dispongono tutta una serie di misure che il datore di lavoro deve attuare per preservare la salute dei suoi dipendenti precisando che “non può non dubitarsi della responsabilità della società resistente per l’omessa adozione di quelle cautele … che avrebbero ridotto il rischio”.Il Tribunale di Roma riconosce per i figli, che all’epoca della morte del padre avevano 30 e 31 anni, com’è stato per la madre, anche il danno biologico di natura psichica: dopo la diagnosi, infatti, l’integrità psico-fisica di Cecchini è stata compromessa perché – rileva ancora l’Osservatorio – ha percepito lucidamente la gravità del quadro patologico e l’approssimarsi della morte.