Il sovraffollamento nelle carceri “non è una fake news“: secondo gli ultimo dati, aggiornati al 26 marzo i posti regolamentari disponibili nei 191 istituti di pena italiani sono 46.904 ma vi sono presenti 60.512 persone. Quindi 13.608 detenuti in più, con un sovraffollamento del 129%. È quanto rileva la relazione al Parlamento del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma.
Nell’ultimo anno si contano 2.047 detenuti in più: al 31 dicembre 2017 erano 57.608, al 31 dicembre 2018 59.655, “con un andamento progressivo crescente e preoccupante”, e “questo aumento si riverbera sulle condizioni di vita interna e sul sovraffollamento, che non è una fake news”, evidenzia Palma.
Al 20 marzo di quest’anno risultano detenute 1.839 persone con una pena inflitta inferiore a un anno e 3.319 con una pena tra 1 e 2 anni. Si tratta cioè di 5.158 persone che potrebbero usufruire di misure alternative al carcere, ma che rimangono all’interno degli istituti. Per questo per l’autorità indipendente, presieduta da Palma, è “urgente una riflessione che coinvolga tutti i soggetti coinvolti nell’esecuzione penale, magistratura, amministrazione penitenziaria, operatori del sociale e lo stesso Parlamento” per “rimuovere gli ostacoli che impediscono la concreta applicazione di misure esecutive della pena alternativa alla detenzione, secondo quanto l’ordinamento prevede”. Perché, sottolinea Palma, “nel luogo di ricostruzione, o a volte di costruzione, del senso di legalità non possono essere fatte vivere situazioni che ledono la legalità stessa”.
Inoltre, “l’attenzione geometrica alla ‘cella’ non deve far perdere il principio che la persona detenuta deve vivere la gran parte della giornata al di fuori di essa impegnata in varie attività significative. Il nostro modello di detenzione – afferma – continua, al contrario, a essere imperniato, culturalmente e sul piano attuativo, sulla permanenza nella ‘cella’, così vanificando la proiezione verso il dopo e il fuori”.
Il Garante ha illustrato anche i dati sui Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), precisando che “delle poco più di quattromila persone transitate nei Cpr nel corso dell’anno, soltanto il 43% è stato effettivamente rimpatriato: un valore questo che è rimasto su scala analoga nel corso degli anni”.
Dai Cpr le persone sono uscite prevalentemente (57% dei casi) per la mancata convalida del trattenimento da parte dell’Autorità giudiziaria, per la scadenza dei termini del trattenimento o perché hanno richiesto protezione internazionale.
Per quanto riguarda le donne, nel 2018 sul totale delle 631 che sono transitate nel Cpr di ‘Ponte Galeria’, l’unico femminile, ne sono state rimpatriate solo 83, pari al 13 % del totale. Lo scorso anno, sottolinea il Garante, con il decreto sicurezza, sono stati nuovamente allungati i tempi del trattenimento nei Centri, ma il fatto che i numeri dei rimpatri siano gli stessi nel corso degli anni prova “la mancata correlazione tra durata della privazione della libertà ed effettività della sua finalità”.
“Occorre chiedersi – incalza Palma – quale sia il fondamento etico-politico di tale restrizione e quanto l’estensione della durata non assuma l’incongrua configurazione del messaggio disincentivante da inviare a potenziali partenti”: questo “sarebbe grave” perché “la libertà di una persona non può mai divenire simbolo e messaggio di una volontà politica, neppure quando questa possa essere condivisa”.