Cassazione: padre deve mantenere figlia che non vuole vederlo

Decisione di non frequentare genitore non incide su assegno

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Anche i figli che non vogliono più frequentare i genitori separati – e non sono economicamente autosufficienti – hanno il diritto ad essere mantenuti, e la loro decisione unilaterale di tagliare i rapporti con padre o madre non fa venire meno, in capo a questi ultimi, l’obbligo di continuare a staccare l’assegno per il “mantenimento della prole” anche quando la ‘discendenza’ è ormai maggiorenne e persiste nel rifiutare momenti di incontro e contatti.

Lo sottolinea la Cassazione confermando che un padre separato residente nella capitale dovrà continuare a versare l’assegno di 1200 euro al mese in favore della figlia che non vuole più avere nulla a che fare con lui e ha tagliato tutti i ponti.

Senza successo, infatti, Antonio C., avvocato romano di 67 anni con studio nel centrale quartiere Appio Latino, ha fatto ricorso in Cassazione contestando la decisione della Corte di Appello di Roma che pur riducendo l’assegno di mantenimento in favore della figlia, ‘sceso’ a 1200 euro rispetto alla cifra precedente non meglio indicata, aveva respinto la richiesta di limarlo ulteriormente.

A sostegno della sua richiesta, Antonio C. – che davanti agli ‘ermellini’ ha perorato da solo la sua causa – ha lamentato “la mancata considerazione della volontà della figlia, oggi maggiorenne, di non frequentare il padre”. I supremi giudici, per nulla colpiti dall’impuntatura della ragazza, hanno liquidato la “circostanza” definendola “del tutto irrilevante”.

Per la Cassazione, “il fatto che la mancata frequentazione della figlia sia dovuta alla decisione della stessa non interferisce, in termini economici, col fatto che il padre non vada incontro ad alcun diretto esborso e ad alcuna cura in favore della stessa, parametri che vanno obiettivamente valutati in sede di determinazione del ‘quantum’ dell’assegno di mantenimento in favore della prole”. Oltre a dichiarare inammissibile il reclamo del padre ‘ripudiato’, la Sesta sezione penale della Suprema Corte – con il verdetto 2735 depositato oggi – lo ha anche condannato a pagare 3200 euro di spese legali.

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