La lotta al Covid si avvarrà presto di un nuovo strumento di screening: è il test salivare, meno invasivo del tampone, e che permette di dare una risposta di positività al Covid-19 in tempi rapidi. Il nuovo esame, il cui impiego è allo studio in varie regioni, potrebbe essere utilizzato presto nelle scuole del Lazio, che attende solo la validazione da parte dell’Istituto Spallanzani di Roma.
Nella selva di test anti-covid sono tante le possibilità e ogni esame ha pro e contro.Il primo e più affidabile è il cosiddetto ‘tampone molecolare’: il campione viene prelevato con un lungo bastoncino simile ad un cotton-fioc dalla mucosa naso-faringea.
Il prelievo viene analizzato attraverso metodi molecolari per l’amplificazione dei geni virali maggiormente presenti durante l’infezione.L’analisi richiede dalle due alle sei ore di lavoro e può essere effettuata solo in laboratori altamente specializzati.Nel tampone rapido, le modalità di raccolta del campione sono identiche al precedente ma, in sede di analisi, vengono cercate le proteine virali (antigeni), e 15 minuti sono sufficienti a fornire una prima risposta.
Lo svantaggio è legato a un’affidabilità nettamente inferiore: per questo motivo, spiegano gli esperti, le diagnosi di positività ottenute con tampone rapido e con i sierologici devono necessariamente essere seguite da un test molecolare.Mentre i tamponi individuano nelle secrezioni respiratorie del paziente il virus o le sue proteine, il test sierologico rileva la presenza nel sangue di anticorpi.Il test, denominato anche Elisa, Clia o Ifa, secondo la tecnologia utilizzata, richiede un prelievo di sangue venoso e viene effettuato presso laboratori specializzati.
Ne esistono di rapidi che, con una sola goccia di sangue, ottenuta con un pungidito, e depositata sul dispositivo di rilevazione, danno una risposta in 15 minuti. L’affidabilità di questo tipo di esame, sottolinea lo Spallanzani, è tuttavia molto variabile e l’Organizzazione mondiale della sanità non ne raccomanda l’utilizzo.Infine è importante sottolineare che i test sierologici non sono in grado di dire se il paziente ha un’infezione in atto e risentono di un periodo finestra di una o due settimane dal momento di un eventuale contagio.