(di Silvana Logozzo per Ansa)
Le cure a casa dei pazienti Covid hanno incontrato fin dall’inizio dell’epidemia più di un ostacolo. Sia per la mancanza di farmaci specifici, che per l’organizzazione, nonostante una legge del febbraio 2020 avesse individuato nelle Usca il motore del monitoraggio per i cosiddetti paucisintomatici. Intanto, in attesa che arrivi l’aggiornamento dell’indirizzo del ministero della Salute per le cure domiciliari, nella Capitale è in partenza uno studio con Interferone beta per curare nel luogo di residenza 60 pazienti Covid over 65 con sintomi non gravi. Lo studio, che ha ottenuto l’approvazione dell’Aifa, è stato promosso dall’Istituto di farmacologia traslazionale (Ift) del Cnr, disegnato in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità, ed è pronto ad arruolare pazienti sul territorio romano.
Il ruolo essenziale degli interferoni nelle infezioni virali
La sperimentazione sarà svolta dall’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” che con l’Unità speciale di continuità assistenziale regionale (Uscar) monitorerà gli effetti. “Gli interferoni – spiegano gli esperti – svolgono un ruolo essenziale nelle infezioni virali, agendo come un campanello di allarme. Diversi studi, alcuni dei quali condotti nei laboratori dell’Iss, hanno dimostrato che in aggiunta ad un’attività antivirale diretta, che si esprime al meglio nelle prime fasi dell’infezione, l’interferone beta possiede anche spiccate proprietà immunomodulatorie tra cui l’induzione di anticorpi e la stimolazione di risposte cellulari contro il virus”.
Lo studio: gli anziani più vulnerabili alle infezioni per i bassi livelli di interferone
Filippo Belardelli, uno dei promotori dello studio, sottolinea: “È noto che i soggetti anziani mostrano una fisiologica riduzione dei livelli di interferone, il che li rende più vulnerabili alle infezioni. Ed è oramai chiaro che gli interferoni hanno un ruolo chiave nel controllo delle fasi più precoci di replicazione del Coronavirus e nell’attivazione del sistema immune. Ed è proprio da qui che nasce il razionale dello studio, ovvero ripristinare nei pazienti anziani livelli ottimali di interferone nelle prime fasi dell’infezione”. I ricercatori sottolineano inoltre che “la terapia domiciliare del Covid-19 dei pazienti con sintomi lievi costituisce uno degli aspetti più importanti nella gestione clinica, oltre a rappresentare un argine fondamentale per evitare ricoveri inappropriati e con essi il sovraffollamento degli ospedali”.
Anticorpi monoclonali: si attende il via dal ministero della Salute
Nel mentre si lavora al Ministero della Salute per il nuovo aggiornamento dell’indirizzo per le cure a casa dei pazienti Covid. Stando a quanto si apprende da fonti qualificate le nuove indicazioni – che dovranno poi passare al vaglio del Consiglio Superiore di Sanità prima del via libera definitivo – comprenderebbero anche i bambini risultati positivi al virus e non ospedalizzati, e le donne in gravidanza. Due categorie che finora non incluse. Per quanto riguarda i farmaci da utilizzare, nell’indirizzo entrerebbero gli anticorpi monoclonali, fermo restando che saranno i medici di famiglia a individuare il target dei pazienti che possono avere accesso a questa terapia. L’infusione probabilmente verrà comunque eseguita in ospedale e non a casa. Non dovrebbe esserci alcun cambiamento rispetto all’uso della tachipirina, e del cortisone nei pazienti sottoposti ad ossigenoterapia. Saranno sempre i medici di base a indicare, valutando soggetto per soggetto, se usare gli antinfiammatori. Il documento del ministero dovrebbe includere, è stato spiegato, anche alcune attività di diagnostica domiciliare come l‘ecografia polmonare e i prelievi di sangue. Esami di cui si occuperanno anche le Usca regionali. Infine, anche gli infermieri dovrebbero fare ingresso in questa parte delle cure contro il Covid.