Martedi’ 29 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella fara’ un secondo giro di consultazioni al Quirinale per appurare se sara’ possibile dare vita ad un nuovo governo che possa portare avanti la legislatura.
Il capo dello Stato vuole verificare se esistano o meno le condizioni per dare l’incarico di formare un esecutivo capace di affrontare le difficili sfide dei prossimi mesi con la manovra economica da scrivere nel rispetto dei vincoli europei.
Nel primo giro di consultazioni e’ emerso con chiarezza solo un elemento: in Parlamento chi e’ contrario alle elezioni anticipate (in caso di voto ad ottobre questa sarebbe la piu’ breve legislatura dalla nascita della repubblica) e’ in maggioranza e sia M5S che Pd, con l’appoggio di gruppi minori, sembrano disponibili a sostenere un nuovo governo.
Il problema, pero’, e’ che fino al momento in cui scriviamo le distanze e le diffidenze rimangono tra i due partiti che si sono profondamente odiati fin dal momento dell’ingresso dei cinquestelle nel Parlamento l’ormai lontano 2013. Come i pentastellati hanno avversato nella scorsa legislatura i governi a guida Pd (Letta, Renzi e Gentiloni), cosi’ in quest’ultima il Partito democratico ha avversato l’esecutivo gialloverde di Giuseppe Conte. Ed e’ soprattutto sul Conte bis che Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio non sembrano trovare la quadra.
Per il leader Pd il nuovo governo deve nascere all’insegna della discontinuita’ rispetto al precedente esecutivo. Quindi il premier dimissionario si deve fare da parte, anche perche’ la sinistra gli imputa di avere sempre appoggiato e sostenuto le politiche di Matteo Salvini in tema di sicurezza e di contrasto alla immigrazione clandestina (tra le richieste del Pd c’e’ anche quella di annullare i due decreti legge in materia).
Per i cinquestelle, invece, Conte deve presiedere anche il nuovo governo. Per loro ha ben operato e, soprattutto, ha retto bene il confronto-scontro con Matteo Salvini, soprattutto quando ha chiesto ed ottenuto di parlamentarizzare la crisi aperta dalla Lega.
Certo, tra M5S e Pd ci sono molti punti di contatto, dalle politiche sociali a quelle energetiche (tutti e due puntano forte sulla “green economy”). Ed anche sull’Europa, dopo le ultime scelte dei pentastellati, decisivi con i loro voti nell’elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Ue, le posizioni dei due partiti si sono molto avvicinate. Ma questo non basta per trovare un accordo.
A dividere ancora, oltre il nome di Conte gradito a Beppe Grillo, c’e’ il problema della riduzione del numero dei parlamentari che i cinquestelle mettono al primo punto di una possibile intesa. Nelle prime tre letture in Parlamento del disegno di legge costituzionale che contempla questa riforma il Pd ha sempre votato contro. Difficile, quindi, che di punto in bianco cambi la sua posizione. In realtà non e’ che i democratici siano contrari alla riduzione dei parlamentari (la riforma Renzi bocciata nel referendum confermativo la prevedeva), ma la vogliono inquadrare in un contesto piu’ ampio che prevede anche un cambiamento dell’attuale legge elettorale, il “Rosatellum“, in favore di un sistema proporzionale.
Sono quindi ore febbrili queste che si stanno vivendo, anche perche’ sulle trattative in corso pesano come macigni due incognite: la prima e’ la tentazione di molti esponenti grillini di riaprire “il forno” con la Lega dopo le dichiarate disponibilita’ di Salvini a riprendere la collaborazione con i cinquestelle, la seconda nella diffidenza di pentastellati e Zingaretti sulle mosse di Matteo Renzi.
L’ex premier, infatti, che ha sempre osteggiato una intesa con il Movimento, ora se ne e’ fatto paladino. Ma fino a quando e perche’? Il “senatore di Scandicci” controlla la maggioranza dei gruppi parlamentari del Pd. Basta che stacchi la spina e…tutti a casa.