Cucchi: pm, partita truccata su spalle famiglia vittima

Il pm: "Anche Alfano venne indotto a dichiarare il falso"

Stefano Cucchi

l depistaggio sulla vicenda di Stefano Cucchi ha una data di inizio: il 26 ottobre del 2009. Da quel momento, secondo quanto accertato dalla Procura di Roma, la catena di comando dei Carabinieri mette in atto una serie di inziative per “allontanare” la verità su quanto avvenuto. Un percorso fatto di falsi che è riuscito ad approdare perfino in Parlamento quando l’allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano, basò, in maniera del tutto inconsapevole, il suo intervento al question time sulla vicenda del geometra utilizzando una nota redatta dai carabinieri della stazione Appia.

“In Aula il ministro riferì il falso su atti falsi”, ha affermato il pm Giovanni Musarò in apertura dell’udienza del processo che vede imputati cinque militari dell’arma. Una udienza monopolizzata dall’audizione del generale Vittorio Tomasone, all’epoca dei fatti a capo del comando provinciale. “E’ stato un arresto normale quello di Cucchi, come tanti altri”, ha affermato l’alto ufficiale dell’Arma sentito come testimone. Rispondendo in merito alla riunione svolta presso il comando, il 30 ottobre di dieci anni fa, Tomasone ha spiegato di avere chiesto “a tutti coloro che avevano avuto a che fare con questa vicenda di fare relazioni e di venire da me per dire quello che avevano fatto, dal momento dell’arresto e fino alla consegna alla polizia penitenziaria: il motivo della riunione era anche quello di cogliere dal loro viso la reazione a quanto avevano scritto”. Parole arrivate pochi minuti dopo quelle del pubblico ministero che nel depositare nuovi atti ha ricostruito la genesi del “depistaggio”.

Il 26 ottobre del 2009 dopo un lancio dell’agenzia Ansa in cui Patrizio Gonnella e Luigi Manconi denunciano pubblicamente che Stefano Cucchi al momento dell’arresto stava bene e che non aveva segni sul volto, visti poi dal padre il giorno dopo nel processo per direttissima, “iniziano a pullulare richieste di annotazioni – ha detto il pm – su ordine della scala gerarchica dell’Arma, comprese quelle false e quelle dettate. Cosa successe quel giorno? Il lancio di agenzia delle 15.38 scatena un putiferio. Dal Comando generale partono richieste urgentissime di chiarimenti. E tutte queste annotazioni non servivano al pm ma all’allora ministro della Giustizia che avrebbe dovuto rispondere sul caso alla Camera”. Per il magistrato “in questa vicenda si è giocata una partita truccata, con carte segnate. Una partita giocata sulle spalle di una famiglia: qui c’è in gioco la credibilità di un intero sistema”. Un vero e proprio atto di accusa contenuto anche nelle ulteriori centinaia di pagine messe a disposizione delle parti. In atti interni dell’Arma -che risalgono al periodo compreso tra l’ottobre e l’inizio novembre del 2009- compaiono già le conclusioni a cui sarebbero giunti i medici legali nominati dalla Procura sei mesi dopo e che indicavano “come responsabili del decesso – ha aggiunto Musarò – solo i medici”.

Per il rappresentante dell’accusa “già in quegli atti si affermava che non c’era un nesso di causalità tra le botte e la morte di Cucchi, che una delle fratture era risalente nel tempo e che i responsabili del decesso erano solo i medici. Tutto ciò – aggiunge il magistrato – era stato scritto non solo quando i consulenti erano ben lontani dal concludere il loro lavoro ma quando la procura doveva ancora nominarli. Ciò lascia sconcertati”. E su questo, “inquietante” punto, il generale Tomasone ha detto di “non ricordare, non avere memoria sul modo con il quale è stata assunta l’informazione”. (Fonte ANSA).

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