Culle per la vita: come funzionano e l’importanza dell’anonimato

Dopo il clamore e le polemiche degli ultimi giorni, si spera si spengano i riflettori sulla vita del piccolo neonato e della madre che ha deciso di affidarlo alla culla della vita del Policlinico di Milano

Dopo il clamore e le polemiche degli ultimi giorni, si spera si spengano i riflettori sulla vita del piccolo neonato e della madre che ha deciso di affidarlo alla culla della vita del Policlinico di Milano. Un’istituzione nata nel 2007 per permettere ai genitori che, per qualsiasi motivo, non possano o non vogliano crescere il proprio bambino, di affidarlo, nel completo anonimato, in mani sicure. E proprio per garantire l’anonimato  su queste vicende che a Milano, la culla del Policlinico si trova in un cono d’ombra al riparo dall’occhio indiscreto delle telecamere, superato un ingresso più appartato per raggiungere la clinica Mangiagalli.

Si tratta di un ambiente protetto e riscaldato ed è strutturata in modo da avvisare immediatamente il personale sanitario: una volta che il bimbo viene accolto al suo interno, passati circa 40 secondi che danno al genitore il tempo di allontanarsi, un allarme discreto avvisa medici e infermieri della Neonatologia che possono prendersi cura del piccolo entro pochissimi minuti. E’ qui che negli anni sono stati lasciati Mario, Giovanni, e ora Enea, a cui la mamma ha detto addio oggi nel giorno di Pasqua, lasciandogli accanto una lettera.

La culla per la vita del Policlinico di Milano viene inaugurata nel 2007, è attiva da 16 anni. La luce illumina solo una piccola saracinesca, qui si trova questo sistema hi-tech che mette il bebè abbandonato subito al sicuro. I medici della maternità più frequentata della metropoli ci hanno sempre tenuto a precisarlo: “Non è una ‘ruota degli esposti’, è molto di più”. La mamma che sceglie di lasciare il suo bebè deve solo schiacciare un pulsante. La saracinesca si alza e c’è una moderna incubatrice dove riporre il neonato, al caldo. La temperatura è di 37 gradi.

Il primo bebè salvato con questo sistema è stato Mario. Era un giorno di inizio luglio 2012. Il piccolo era leggerissimo, nato prematuro (i medici stimavano alla 35esima settimana) pesava appena 1,7 chili e aveva un’età apparente di 6-7 giorni. Vicino al bebè era stato lasciato un biberon con del latte materno e un paio di tutine. Piccoli segni di attenzione, presenti in ognuna di queste storie. Nel caso di Enea una lettera scritta in italiano, con parole che lasciano trasparire l’affetto e la difficoltà della mamma a separarsi da lui.

Gli specialisti che si sono presi cura di lui hanno pensato che fosse nato in casa perché non sembrava avere segni di punture nel piedino (la modalità con cui si fanno i controlli di routine ai neonati appena venuti al mondo in ospedale. “Lo chiameremo Mario – aveva annunciato il primario di allora, Basilio Tiso – perché oggi (era il 6 luglio, ndr.) si festeggia Santa Maria Goretti e si chiamerebbe inoltre come due protagonisti di questi giorni, il calciatore Balotelli e Monti”, a quei tempi premier.

Giovanni aveva invece due mesi quando è stato lasciato nella culla per la vita del Policlinico l’1 febbraio 2016. La sua data di nascita era nota perché insieme al bambino era stato lasciato un cartellino con una serie di informazioni, tra cui i vaccini fatti. Il bambino, raccontano i medici, era ben accudito, pulito e ben vestir: pesava 5,8 kg.

 

 

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