Dalla coppia cinese al vaccino, un anno di pandemia nel Lazio

La Capitale al centro della pandemia: qui il primo caso ufficiale in Italia, sempre qui, allo Spallanzani, parte la vaccinazione di massa

Per qualcuno sembrerà ieri, per altri un’eternità, ma è passato un anno da quando è esplosa la notizia dei primi due casi positivi al coronavirus in Italia. Si trattava della coppia di turisti cinesi provenienti dalla regione dello Wuhan in Cina, lui ingegnere biochimico e lei studiosa di scienze umanistiche, 66 e 65 anni: in Italia per un tour turistico assieme a una comitiva di connazionali. Arrivati a Roma il 23 gennaio, alloggiano in un albergo del rione Monti, nel centro della Capitale, ma alcuni giorni dopo iniziano ad accusare i primi sintomi. Così la sera del 29 gennaio scatta l’allarme e la coppia di coniugi viene soccorsa in hotel da un’ambulanza del 118 per essere ricoverata il giorno dopo all’Istituto Spallanzani di Roma, dove tutto ha avuto inizio, perché l’ospedale di ricerca romano è stato, sarà e continua ad essere, punto di riferimento per l’intero Paese.

Il Covid arriva ufficialmente in Italia: nel Lazio, a Roma.

L’inizio di una lunga battaglia che continua ancora (dopo un anno) scandita dai bollettini di guerra giornalieri della Regione Lazio e dai dati diffusi dalla protezione civile prima e dal ministero della Salute oggi.

La Regione Lazio aveva iniziato ad attrezzarsi il 24 gennaio, giorno in cui si svolge la prima riunione operativa allo Spallanzani. Al centro della riunione la gestione di eventuali casi sospetti. Nonostante le molte rassicurazioni che arrivano da più parti, molti iniziano a temere che quel virus, che già aveva chiuso in casa un’intera regione della Cina con una popolazione pari a quella italiana, potesse essere andato già fuori controllo. Iniziano i bollettini dello Spallanzani, all’inizio dedicati ai due pazienti cinesi e a tutte le persone che sono entrate in contatto con loro. Tutti ricoverati e sotto osservazione.

Spallanzani, primo in Europa a isolare il virus

Proseguono gli appelli alla calma, ma i casi in Italia aumentano. Il 2 febbraio la ricercatrice dello Spallanzani, Maria Rosaria Capobianchi e il suo team, primi in Europa, riescono a isolare il virus, proprio grazie ai due pazienti cinesi. Il 6 febbraio è la volta di un italiano positivo, arrivato all’ospedale militare della Cecchignola e subito trasferito anche lui allo Spallanzani. I due cinesi, intanto, vengono ricoverati in terapia intensiva, con prognosi riservata. Nel Lazio si continua così per giorni, a parlare dei tre pazienti. Il 15 febbraio, allo Spallanzani, arriva un altro italiano, Niccolò, lo studente 17enne di Grado rimasto bloccato per due volte a Wuhan, epicentro dell’epidemia, a causa della febbre. Per fortuna Niccolò è negativo ai tamponi, ma resta in ospedale sotto osservazione. Il 21 febbraio è il giorno zero per l’Italia. Il nostro Paese scoperchia infatti il vaso di Pandora circa un mese dopo dalla quarantena cinese, peraltro con una forzatura dei protocolli che all’epoca prevedevano il test specifico solo per chi dichiarava di essere stato in Cina o a contatto con persone provenienti dalla regione asiatica.

9 marzo: primo lockdown 

Il mostro si palesa con tutta la sua forza, dando il via alla scoperta di una devastante “prima ondata” che colpisce duramente la Lombardia e altre regioni del nord Italia. Il primo morto si registra il 22 febbraio: è un pensionato padovano di 78 anni. I casi sono migliaia nel giro di pochi giorni. All’inizio il Governo italiano dispone un lockdown regionale, simile a quanto fatto nell’Hubei. La cintura intorno a Milano viene completamente isolata, pensando che il virus, sostanzialmente, sia lì. Ma non basta: il governo italiano, infatti, decide il 9 marzo 2020 di chiudere tutta l’Italia.

Intanto, nel Lazio, regione meno colpita rispetto alle altre in un primo momento, l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato mette a disposizione del collega lombardo Gallera le strutture sanitarie laziali per aiutare i pronto soccorso della Lombardia, ormai in affanno e quasi al collasso nel gestione delle migliaia di persone che si presentano. Si iniziano così a lanciare i primi appelli a non recarsi al pronto soccorso in caso di sintomi, per evitare di ripetere quanto successo negli ospedali lombardi.

A fine febbraio primi focolai nel Lazio

Prima del lockdown totale, il 26 febbraio arriva la prima buona notizia: la donna della coppia cinese si negativizza, esce dalla rianimazione e insieme al marito raggiungono il reparto di ricovero ordinario. Ma nello stesso tempo, partono i primi focolai di contagio nel Lazio che inevitabilmente fanno precipitare la situazione: a Fiumicino, in un commissariato di Spinaceto, al pronto soccorso di Tor Vergata costretto a richiamare 98 persone perché entrate a contatto con uno degli agenti del commissariato, in una scuola di Pomezia. Il 2 marzo i positivi nel Lazio risultano 15: la maggior parte provenienti dalla Lombardia e dal Veneto, i cosiddetti “casi di rientro”. Nel giro di 48 ore diventano 27 i positivi al Covid-19. Anche il Lazio ormai è diventato uno dei fronti caldi contro la pandemia che inizia a mietere vittime in maniera molto importante soprattutto nel nord Italia. Il 6 marzo i casi risultati positivi al Covid-19 sono 53 in regione, oltre a 3 persone guarite (la coppia cinese e il ricercatore italiano già dimesso). Di questi, all’Istituto Spallanzani di Roma, erano ricoverate 34 persone, di cui 8 in terapia intensiva e 16 in isolamento domiciliare. L’aumento esponenziale dei contagi registrato derivava da una festa organizzata sul territorio di Latina, a cui hanno partecipato persone provenienti da altre Regioni d’Italia.

Il primo piano di emergenza 

Per fronteggiare l’emergenza, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti firma un’ordinanza regionale contenente le “misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

“No al panico, sì alla responsabilità individuale, sì al dovere di tutti e tutte di rispettare le regole di comportamento”, il messaggio lanciato dal governatore, durante una conferenza stampa straordinaria nella sede della Regione Lazio, e che continua ancora oggi a riecheggiare. Parte così il primo piano di emergenza. Tra le misure previste, l’incremento dei posti letto di terapia intensiva negli ospedali del Lazio e il raddoppio di quelli all’Istituto Spallanzani. Inoltre, La Regione Lazio autorizza, con procedure straordinarie, il reclutamento di 474 unità di personale sanitario: 50 anestesisti, 270 infermieri, 12 pneumologia, 18 infettivologi, 12 cardiologi, 20 medici dell’emergenza, 12 radiologi e 80 operatori socio sanitari. Infine, la Columbus, struttura esterna dell’Irccs Agostino Gemelli, sarà il secondo centro Covid-hospital nel Lazio, accanto all’istituto Spallanzani. Nel frattempo si registra anche la prima persona deceduta al San Giovanni di Roma affetta da Covid, una signora di 87 cardiopatica.

Zingaretti positivo al Covid

Sabato 7 marzo il presidente della Regione e segretario del Pd, Nicola Zingaretti, annuncia, con un video messaggio sulla sua pagina Facebook di essere positivo al Covid, qualche giorno prima era andato a Milano per un aperitivo solidale organizzato dai giovani iscritti del Pd lombardo, per manifestare il suo iniziale dissenso contro le restrizioni nei confronti dei locali milanesi. Si arriva così all’11 marzo, quanto il premier Giuseppe Conte annuncia il lockdown esteso a tutto il territorio nazionale, una misura che durerà fino a maggio. Le terapie intensive, ma nemmeno i posti letto “ordinari” bastano. Seguendo l’”esempio cinese” vengono costruiti veri e propri ospedali da campo, come si fosse in guerra. Tanto che nella provincia di Bergamo, letteralmente devastata dall’epidemia, una fila di mezzi militari dell’esercito porta via le bare dei defunti. Una immagine che nessuno potrà mai dimenticare. Il Lazio, l’Italia reagisce e per esorcizzare la paura si canta e si balla sui balconi non potendo uscire di casa. La Regione Lazio ha iniziato a realizzare i primi Covid Hospital, inizialmente quattro, che portano così a 1.000 posti letto dedicati al Covid-19 su Roma, anche perché i casi di positivi il 15 marzo sono 436 con 223 ricoverati.

Mancano le mascherine

Alla guerra al Covid si aggiunge l’allarme rosso per le mascherine, diventate introvabili, su cui iniziano le prime speculazioni. A due mesi dall’inizio della pandemia i casi positivi aumentano con una media di 170 al giorno, arrivando ad oltre 1.200, con 671 ricoverati e 79 persone in terapia intensiva. Anche nel Lazio cominciano a preoccupare i focolai che si sviluppano all’interno delle Rsa e case di riposo. Si prendono misure ancora più restrittive per alcuni piccoli comuni, con il divieto di allentamento dal territorio e i militari a presidiare le zone, come Fondi “zona rossa”, con il Mercato ortofrutticolo sorvegliato speciale. A fine marzo scatta una terza fase dell’emergenza: vengono istituiti ospedali Hub, per i casi più gravi, e Spoke, per quelli meno preoccupanti; i posti dedicati al Covid salgono a 2.000 di degenza ordinaria, 450 di terapia intensiva. I tamponi giornalieri arrivano a 22mila, si assumono 881 nuovi medici e infermieri e si supera il tetto dei 2.000 positivi. Le istituzioni regionali continuano a ribadire che il monitoraggio è costante con continue ispezioni per controllare che siano rispettate tutte le misure di sicurezza, soprattutto nelle Rsa.

Viene stipulato un primo accordo con gli albergatori, rimasti senza clienti, che prevede la messa a disposizione di 2.000 posti letto in totale, le nuove assunzioni nel sistema sanitario arrivano a 1.424 mentre si prepara l’avvio delle Uscar, unità mobili di intervento con l’arrivo dei primi test sierologici. Partono anche le prime indagini epidemiologiche su settori specifici come le forze dell’ordine, come la vaccinazione antinfluenzale obbligatoria per gli over 65, con ordinanza firmata il 16 aprile e avvio della campagna vaccinale dal 15 settembre.

Il 26 aprile il picco di positivi nel Lazio

Dopo tre mesi di ricoverati, il 20 aprile la coppia di Wuhan viene dimessa dal San Filippo Neri, dove, intanto, era stata ricoverata per la riabilitazione. Il picco dei positivi nel Lazio si raggiunge il 26 aprile con 4.573, 1442 ricoverati, 161 persone in terapia intensiva. Ma subito dopo, per effetto soprattutto del lockdown generalizzato, la curva della pandemia inizia a calare: i nuovi positivi scendono sotto quota 70 al giorno. Il 6 maggio, con le misure restrittive allentate, parte l’indagine di sieroprevalenza nel Lazio, 300mila test sierologici a forze dell’ordine, ospiti e operatori sanitari delle Rsa, per capire meglio l’andamento del virus nella regione.

Intanto, con l’avvicinarsi dell’estate i casi positivi continuano a diminuire e il 26 maggio la regione registra solo 12 nuovi casi con gli ospedali che iniziano svuotarsi. L’ottimismo serpeggia in un’atmosfera estiva, come se il peggio fosse passato. Nonostante gli appelli alla prudenza che provengono da più parti, in particolare dal mondo scientifico, l’estate e il basso numero di casi (nel Lazio a metà giugno sono circa una decina) portano ad un abbassamento della guardia. La riapertura dei confini nazionali e di tutte le attività connesse con inevitabili assembramenti come nelle discoteche, spingono l’Italia verso una seconda ondata, che si preannuncia più intensa e capillare della prima. La curva pian piano riprendere a crescere, a causa proprio della mancanza delle misure di distanziamento.

Partono i controlli a Fiumicino e Ciampino

A Roma negli aeroporti di Fiumicino e Ciampino si iniziano a prendere le prime misure per controllare i voli di rientro dalle ferie estive e quelli provenienti da Stati dove la pandemia è fuori controllo, con tamponi a tappeto. In particolare, il primo segnale che prelude alla ripresa della corsa del virus riguarda, infatti, un volo proveniente da Dacca, Bangladesh, con i test che vengono eseguiti allo sbarco: 21 positivi a bordo su 39 passeggeri. Il Bangladesh è il primo paese a finire nella lista dei Paesi a rischio e il ministro della Salute, Roberto Speranza, annuncia il divieto di sbarco per i passeggeri provenienti da quel Paese.

I casi “di importazione”: test ai terminal di Tiburtina e Anagnina

Partono anche i test sulla comunità che vive nel Lazio. I bollettini cominciano a parlare di “casi di importazione”: India, Ungheria, Ucraina, Afganistan, Pakistan e Portogallo. A questi poi si aggiungono Bulgaria, Ucraina e Romania: per le persone provenienti da questi paesi e arrivati in pullman, la Regione Lazio ordina i test ai Terminal della stazione Tiburtina e Anagnina. Casi di importazione, feste in spiaggia, movida estiva, giovani che rientrano dalle vacanze all’estero come Ibiza e Grecia, oppure dalle feste nelle discoteche in Sardegna, diventano una bomba ad orologeria. A metà luglio l’indice Rt, che misura l’indice di contagiosità del virus, nella regione torna sopra 1, rischio moderato, proprio a causa dei rientri dall’estero. Si iniziano a chiudere anche gli stabilimenti balneari dove vengono riscontrate delle positività come il caso di Ostia. Ad inizio agosto i nuovi positivi tornano oltre mille. L’onda è ripartita e dal 28 al 30 agosto i casi positivi passano da 2.137 a 3.035. Il Covid fa paura soprattutto a Roma per la riapertura delle scuole, i pochi mezzi pubblici e il conseguente assembramento di studenti e lavoratori. Aumentano i tamponi e aumentano i contagiati quotidiani, si creano nuovi drive-in per rispondere alla domanda crescente di tamponi, si fanno test nelle scuole.

Nel Lazio buoni risultati dalla strategia delle 3T

A fine settembre si contano oltre 7 mila contagiati. La tempestività nel tracciamento permette, però, di contenere il numero dei ricoveri e delle terapie intensive. A livello nazionale si torna a parlare di zone rosse e chiusura delle scuole superiori. Il 31 ottobre il bollettino regionale registra numeri allarmanti: 2.289 nuovi contagi e 22 morti, con 33.906 casi positivi attivi. A novembre il governo inizia pubblicare i vari Dpcm, si chiudono le scuole superiori, si divide l’Italia in tre zone a seconda del rischio e si limitano gli spostamenti da una regione all’altra. Il Lazio inizialmente riesce a rimanere in fascia gialla, quindi con minori restrizioni per i cittadini. Ma anche nel Lazio, come nel resto d’Italia, si è in una fase di aumento dei casi di contagio e di una crescita degli ospedalizzati e dei pazienti in terapia intensiva. In base ai dati, però, si nota come la regione cresca meno rispetto ad altre. Questo può dipendere da una serie di fattori, in particolare dall’avere adottato in maniera più incisiva e rigorosa la cosiddetta strategia delle 3T (Testare, Tracciare, Trattare). Nella prima ondata della pandemia da coronavirus, infatti, il numero di contagi è stato contenuto, cosa che ha permesso alla rete ospedaliera di non andare in eccessivo sovraccarico come accaduto invece in Nord Italia. La situazione ora è molto cambiata.

Nel Lazio risulta vincente la scelta di ospedalizzare anche i meno gravi

Con la seconda ondata, negli ultimi mesi, a partire dalla seconda metà di agosto, il quadro epidemiologico dell’infezione da Covid-19 mostra un graduale aumento dei casi fino alla prima metà di settembre, e successivamente una rapida ascesa della curva. A fronte di questa situazione, per il proseguimento della battaglia contro il Covid-19, la Regione Lazio potenzia ulteriormente la rete Covid, aumentando di 1.421 i posti letto ordinari e di terapia intensiva. Inoltre, rafforza l’attività di contact tracing, attraverso accordi con medici di base, pediatri e farmacie per eseguire test rapidi e rinnova l’accordo con alcune strutture alberghiere per i posti letto da dedicare ai pazienti dimessi e in fase di guarigione. Per quanto riguarda il Lazio c’è un dato rilevante da evidenziare: rispetto ad altre regioni in Italia ha sempre mantenuto un numero alto di ospedalizzati. L’ipotesi, secondo molti esperti, è che la Regione abbia messo in campo delle misure più rigorose, optando per il ricovero anche di pazienti meno gravi. Questa scelta, naturalmente, da una parte grava di più sul sistema sanitario ma dall’altro assicura un maggiore controllo rispetto all’isolamento domiciliare.

Il 27 dicembre il V-day allo Spallanzani 

Nel frattempo, prima l’azienda farmaceutica americana Pfizer e poi Moderna completano le sperimentazioni sull’uomo del vaccino anti-Covid, annunciando un’efficacia del 94,5 per cento. Il 27 dicembre si torna dove tutto ha avuto inizio: all’Istituto Spallanzani di Roma. E’ il “V-day”, giorno in cui tutti i paesi europei iniziano a somministrare il vaccino anti-Covid. In Italia la campagna vaccinale prende il via proprio allo Spallanzani: la prima a essere vaccinata è un’infermiera, Claudia Alivernini, romana di 29 anni, volto simbolo del personale sanitario in prima linea da mesi nella battaglia contro il coronavirus. Con lei, a seguire, altri 4 dipendenti dell’Istituto. E nonostante i vari ritardi nella consegna delle forniture finalmente si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel. Anche in questo caso il Lazio si distingue dalle altre Regioni italiane, risultando essere la prima in Italia per numero di vaccini somministrati.

A oggi è stata raggiunta quota 170 mila dosi di vaccino anti Covid somministrate: sono già oltre 12 mila quelle per gli over 80 e circa 50 mila le persone che già hanno ricevuto i richiami. In attesa che il vaccino anti-Covid sia disponibile nelle dosi necessarie, si sta cercando di organizzare al meglio i vari centri di somministrazione. Infine, un’altra fase fondamentale della battaglia passa sempre dall’avamposto principale della lotta al virus, dove si spera magari di dare il colpo di grazia. Il 5 gennaio vengono presentati allo Spallanzani i risultati della fase 1 della sperimentazione clinica di Grad-CoV-2, il candidato vaccino italiano di Reithera. Un vaccino sicuro e che induce una risposta immunitaria robusta e con adeguato profilo di risposta. Alcuni giorni fa, inoltre, Invitalia ha annunciato che finanzierà la fase 2 del vaccino tutto italiano sul quale la Regione Lazio aveva già investito 8 milioni per avviare la fase 1. Il vaccino Spallanzani/ReiThera prodotto nel polo tecnologico di Castel Romano darà l’opportunità, una volta terminato l’iter, di essere totalmente autosufficienti e di vincere la guerra la guerra contro il virus, archiviando un periodo di resilienza e di immagini che non dimenticheremo mai.

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