Roma deve fare i conti con il coronavirus. Tra giuste precauzioni e inutili allarmismi, la notizia dei due turisti cinesi risultati contagiati dal virus cinese ha monopolizzato l’attenzione dell’opinione pubblica. Così, tra le rassicurazioni del direttore dello Spallanzani sullo stato di salute dei turisti e la notizia di un terzo contagiato a Tivoli (un operaio romeno che pare abbia lavorato nell’hotel in cui alloggiavano i turisti asiatici), Roma prepara le contromisure per evitare che il contagio si diffonda: allerta massima negli aeroporti e la caserma della Cecchignola individuata come sito migliore per ospitare la quarantena degli italiani in arrivo da Wuhan.
Ma quali sono stati in modi con cui Roma ha affrontato le grandi epidemie del passato? Premessa: quella del coronavirus non è un’epidemia, ci sono casi accertati ma niente di paragonabile rispetto ai fatti storici che ci accingiamo a descrivere.
Nel 1656 arriva la peste a Roma. L’untore è un marinaio napoletano, ma le strutture sanitarie non collegano i suoi problemi di salute alla peste, che a Napoli stava dilagando e che avrebbe causato ben 200mila decessi.
Per arginare l’avanzamento della malattia, che a Roma causerà oltre 10mila vittime, viene allestito un Lazzaretto all’Isola Tiberina: all’epoca venne considerato il modo migliore per curare i pazienti, tenendoli lontani dalla cittadinanza.
Negli anni ’30 dell’800, l’Italia viene colpita da una violenta epidemia di colera. Nel 1836 il morbo ha già contagiato parte del nord Italia, così papa Gregorio XVI – temendo l’arrivo del colera anche sul suolo pontificio – predispone alcune contromisure per mettere al sicuro il proprio stato. Viene istituito un apposito corpo di “Guardia Sanitaria” e disposto nei principali snodi al confine del papato. Il cordone sanitario non funziona e il colera inizia a diffondersi sull’Emilia e nelle Marche. Alcuni circoli liberali e mazziniani decidono di sfruttare l’epidemia per diffondere voci sul fatto che il governo avrebbe deliberatamente diffuso il morbo.
Ma questa è un’altra storia.