Un’iniziativa utile alla città o uno scempio in uno dei luoghi-simbolo di Roma? A Roma l’utilità e concretezza di un’opera pubblica può prescindere dal decoro urbano e dal suo impatto visivo? Sono solo alcuni degli interrogativi che suscita la recente polemica sorta attorno ai lavori sulla ciclabile che costeggia il lungotevere.
Una colata di cemento – come la chiamano i critici – o un intervento per agevolare attività fisica di ciclisti e runner – secondo l’interpretazione dei favorevoli – che spiega le difficoltà in cui si trova la Capitale nel conciliare due istanze fondamentali, l’una speculare all’altra ma di difficile conciliazione: decoro/estetica e funzionalità/utilità.
Chiunque si muova con le due ruote, conosce bene i pericoli che provengono da una strada antica o dissestata e questo non è un tema che riguarda direttamente la recente polemica, visto che – sulla ciclabile del lungotevere – il cemento c’era già da anni, in sostituzione della vecchia pavimentazione. Quello che ha colpito maggiormente dei lavori voluti dall’amministrazione Raggi è la forma, non la sostanza. Una colata di cemento dai bordi sbilenchi e di fattura non proprio pregevole, con un dislivello tra la nuova strada cementata e quella vecchia che non è molto sicura per chi si muove in bici, come ammesso anche dal presidente della commissione ambiente di Roma Capitale Angelo Diario – grande sponsor dell’iniziativa – che ha promesso una sistemazione del dislivello con una più pratica – e sicura – discesa. La conclusione salomonica è che si tratta di un lavoro che sarebbe stato utile fare, ma sin da subito con modalità differenti. E che la polarizzazione estrema che provocano da anni i primi cittadini della capitale, impedisce una serena valutazione degli eventi. La Raggi, nella fretta di rifare strade e ciclabili come segno dell’attivismo dell’amministrazione trascura la forma, dimenticando – colpevolmente – che Roma non è Detroit e che il cemento va armonizzato con la vicinanza con i tesori storico-archeologici della Capitale. E non considera che un lavoro portato avanti apparentemente in maniera grossolana svilisce anche le buone intenzioni, dando il fianco a critiche e attacchi. Come a dire: se sai che un lavoro del genere può creare divisioni, fa in modo che quei 5 km di rifacimenti vengano sistemati in tempi rapidissimi, in 24/48 ore, con la segnaletica rifatta subito e non dopo cinque, sette o dieci giorni. Dall’altro lato, non c’è la pazienza – o non c’è la volontà – di attendere la conclusione dei lavori per puntare il dito contro un avversario politico, alimentando quella spirale di contrapposizione e quella lotta tra bande che rende più difficoltoso la rigenerazione della città.