Il clan Casamonica, il gruppo criminale che da anni opera nell’area est di Roma, è mafia. E’ quanto hanno ribadito i giudici della Corte d’Appello di Roma nel maxiprocesso alla “famiglia” che vedeva imputate circa 40 persone, tra cui anche i capi del sodalizio. Così come nella sentenza di primo grado che comminò condanne per circa 400 anni di carcere, i giudici di secondo grado hanno sostanzialmente confermato l’impianto accusatori dei pm della Dda.
Anche in appello le condanne più alte sono state inflitte ai vertici dell’organizzazione e in particolare nei confronti di Domenico (30 anni) , Massimiliano (28 anni e 10 mesi), Pasquale (24 anni), Salvatore (26 anni e 2 mesi), Ottavio (17 anni), Giuseppe (16 anni e 2 mesi), Guerrino (16 anni e 2), Liliana (15 anni e 8 mesi), Luciano Casamonica (13 anni e 9 mesi). Nei confronti degli imputati i sostituti procuratori di piazzale Clodio contestavano, a seconda delle posizioni, reati che vanno dall’associazione mafiosa dedita al traffico, allo spaccio di droga, all’estorsione, all’usura e alla detenzione illegale di armi. Nell’aula bunker di Rebibbia i giudici, dopo oltre sei ore di camera di consiglio, hanno accolto il ricorso dei pm su quattro posizioni per quanto riguarda il 416bis, escludendo soltanto l’aggravante di essere un’associazione armata. “E’ una sentenza che riteniamo equilibrata – ha commentato il sostituto procuratore generale, Francesco Mollace -. E’ stata ribadita l’impostazione dell’accusa. La Procura ha svolto un gran lavoro ed abbiamo ottenuto un grande risultato. La sentenza di oggi si pone nel solco di altre pronunce come quelle per i Fasciani, Gambacurta e Spada che hanno riconosciuto la mafia sul territorio laziale”. Nel corso della requisitoria i rappresentanti dell’accusa avevano affermato che “l’indagine della procura di Roma ha posto fine allo strapotere dei Casamonica. Un clan da anni a braccetto con Banda della Magliana e poteri forti della capitale con una forza di intimidazione impressionante. La galassia Casamonica è quella peculiare struttura dell’organizzazione che porta i diversi gruppi ad unirsi quando c’è ‘bisogno”.
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici scrivevano che l’istruttoria dibattimentale “ha rassegnato significativi elementi di prova della natura mafiosa del clan Casamonica operante nel quadrante est della città di Roma, identificabile nella zona di Porta Furba”. Per i magistrati il clan opera in un “contesto delinquenziale più ampio, che possiamo chiamare la ‘galassia Casamonica’, dotata di un indiscusso ‘prestigio criminale’ nel panorama romano”. Una galassia formata da “diversi nuclei familiari in autonomia tra di loro ma tutti riconducibili a una medesima discendenza e connotati da un comune senso di appartenenza e da uno spirito di mutuo soccorso, dediti ad attività criminali tipiche delle tradizionali associazioni di stampo mafioso, quali usura, estorsione, intestazioni fittizie di beni, spaccio di droga”.
Tutte attività portate avanti “nel quadrante sudest della Capitale, nei quartieri Arco di Travertino, Appio, Tuscolana, Romanina: Il comune senso di appartenenza di tali nuclei – si legge nelle motivazioni – è diffusamente conosciuto e percepito da coloro che risiedono in tale area della città e che sono vittime dell’azione criminale dei singoli associati come un elemento di rafforzamento della forza intimidatrice del gruppo, poiché connotato da un numero potenzialmente enorme di associati, ciascuno pronto ad intervenire a sostegno delle pretese criminali del singolo in caso di bisogno”. Dopo la sentenza i familiari presenti in aula non hanno nascosto il loro disappunto. “Non non credevo che i giudici potessero essere più conformisti di quelli di primo grado ma ci sono riusciti. Sono deluso: il problema non sono le accuse dei pm ma il conformismo dei giudici”, ha commentato l’avvocato Giosuè Naso, difensore tra gli altri di Domenico Casamonica.