L’11 settembre non è solo l’attacco alle Torri Gemelle di New York, ma è anche il giorno del golpe in Cile quando, 51 anni fa, i militari, con l’appoggio degli Stati Uniti, spodestarono il presidente regolarmente eletto nel 1970, Salvador Allende, per sostituirlo con Augusto Pinochet, che lo stesso Allende aveva nominato da poco alla guida delle Forze armate.
L’11 settembre 1973 i carri armati invadono le strade di Santiago e il Palazzo presidenziale, la Moneda, viene circondato.
Allende non scappa, ma decide di non consegnarsi a quelle forze di cui non riconosce la legittimità. Prima di morire, probabilmente suicida, rivolge il celebre discorso in cui parla direttamente al suo popolo. “Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento”.
Nel 1998, il giudice spagnolo Baltasar Garzón emette contro Pinochet un mandato di cattura internazionale per la scomparsa di cittadini spagnoli durante la dittatura. E lui viene accusato di genocidio, terrorismo e tortura. È arrestato a Londra dove si trovava per farsi curare, ma non è mai stato condannato. Il 2 marzo 2000 il ministro dell’Interno Jack Straw decide di liberarlo e di farlo tornare in Cile dove riesce a evitare qualsiasi processo. Muore d’infarto nel 2006, a 91 anni.