Latina: 33 arresti, duro colpo al clan Di Silvio

Associazione mafiosa finalizzata al traffico della droga, all’estorsione, ma anche sequestro di persona, al furto, alla detenzione di armi sono i reati contestati dalla procura antimafia di Roma

Associazione mafiosa finalizzata al traffico della droga, all’estorsione, ma anche sequestro di persona, al furto, alla detenzione di armi sono i reati contestati dalla procura antimafia di Roma a un sodalizio di 33 persone tutte arrestate (27 in carcere e 6 ai domiciliari) questa mattina nel corso dell’operazione “Scarface” eseguito dagli uomini della squadra mobile di Latina e dai loro colleghi della squadra mobile di Roma che hanno lavorato in team.

L’indagine si è focalizzata sul clan Di Silvio che ha al vertice Giuseppe, detto Romolo, ormai succeduto in pianta stabile al cugino Armando Di Silvio nell’organizzazione strutturata su base familiare e territoriale già protagonista di gravissimi episodi criminali a Latina. Romolo è attualmente in carcere condannato con sentenza definitiva, insieme al nipote, per l’omicidio di Fabio Bonamano, avvenuto nel 2010.

Nell’inchiesta di oggi, è stato, quindi, possibile ipotizzare l’esistenza di un gruppo organizzato di soggetti principalmente dediti all’estorsione ed al traffico illecito di stupefacenti che si è nel tempo sempre più radicato sul territorio di Latina. Le indagini sviluppatesi mediante intercettazioni telefoniche, ambientali e riprese video, sono state arricchite dal contributo delle dichiarazioni di cinque collaboratori di giustizia oltre che da quelle rese dalle vittime delle numerose estorsioni, alcune delle quali già coinvolte nell’operazione Movida del Dicembre 2020, quando sono stati arrestati esponenti di spicco del clan Di Silvio.

Ad innescare le indagini sono stati i tentativi fatti del clan di mettere le mani sulla gestione, e soprattutto, sugli incassi dei locali della movida di Latina. In particolare gli investigatori si sono concentrati su alcune spedizioni punitive contro esercenti che non accettavano il cappio delle richieste estorsive e sul tentativo, da parte della famiglia Di Silvio di assumere il controllo del territorio. Sono state quindi avviate le attività di intercettazione telefonica ed ambientale sul conto di Romolo Di Silvio il quale impartiva le direttive dal carcere romano di Rebibbia attraverso i suoi fidati familiari.

“Dovete tenere la città in mano” diceva dal carcere Romolo ai suoi solidali ordinando loro di mantenere il controllo del territorio con ogni mezzo. Sono emerse, innanzitutto, una serie di estorsioni realizzate verso imprenditori o anche semplici cittadini, i quali soltanto per la notorietà del nome o la vicinanza degli estorsori alla famiglia Di Silvio si sarebbero assoggettati alle loro richieste, avendo gli autori fatto valere la forza di intimidazione dovuta all’appartenenza o vicinanza al clan. Una paura che resiste ancora oggi nonostante gli arresti effettuati dalle forze dell’ordine.

Oltre all’estorsione il clan gestiva il traffico della droga approvvigionandosi da fornitori di Roma. Droga e usura spesso andavano a braccetto dato che il clan, in molti casi, cedeva lo stupefacente in maniera che l’assuntore, accumulasse debiti su cui poi il clan chiedeva interessi usurai. Nello stesso anno, inoltre, si è verificato il rapimento di uno spacciatore della famiglia Di Silvio, poi divenuto collaboratore di giustizia, che ha lasciato emergere le dinamiche criminali della famiglia, la quale da anni sembra controllare territori della città di Latina ed interi settori delle attività criminali. Interessi che, però, si scontravano con quelli di un altro clan, costituito dalla famiglia Ciarelli con il rischio concreto di uno scontro armato tra i due gruppi.

Una delle principali piazze di spaccio gestite dal gruppo è risultato il centro storico di Latina con particolare riferimento alla “zona dei pub” lasciata per così dire libera dopo l’arresto dei fratelli Travali, in quanto erano loro ad averne il controllo. In tale direzione, poi, sono diversi gli episodi nei quali gli appartenenti al clan Di Silvio avrebbero rimarcato il loro potere sul territorio facendo riferimento al controllo di intere zone della città, in particolare la zona dei pub, la zona di piazza Quadrato, sia con riguardo al settore criminale dello spaccio di stupefacenti, sia con riguardo alle attività estorsive, tanto che alcune persone sentite a sommarie informazioni hanno affermato di non frequentare più determinate zone per evitare di incontrarli e subire vessazioni.

Le indagini hanno inoltre permesso di ipotizzare come il clan abbia occupato anche una fetta delle piazze di spaccio nei comuni limitrofi a quelli di Latina, come Priverno, Sezze e Pontinia grazie alle attività ivi svolte dai loro pusher, i quali avrebbero coadiuvato i capi e gli organizzatori nell’attività di spaccio, in particolare provvedendo alla distribuzione al minuto dello stupefacente. Allo stato, le indagini permettono di ipotizzare che dopo l’omicidio di Ferdinando Di Silvio, detto il Bello, dunque, il ruolo di capo di tale sodalizio sarebbe stato assunto dal fratello Romolo che sembra il punto di riferimento dell’intera consorteria criminale.

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