Noa che ha scelto di morire a 17 anni

Si è lasciata morire di fame e sete. L'Olanda non ha concesso l'eutanasia alla giovane che soffriva di depressione dopo una violenza subita da bambina

E’ morta domenica scorsa in casa, lasciandosi morire di sete e di fame. Noa Pothoven, una ragazza olandese di 17 anni, ha deciso di andarsene così: non poteva più sopportare  – così avrebbe detto – di vivere a causa della depressione, in seguito a una violenza sessuale subita quando era bambina.

Ma non si è trattato di un caso di eutanasia di Stato, nonostante la notizia sia stat inizialmente diffusa in questi termini.

Secondo i media olandesi, infatti, scrive oggi Repubblica online, “la ragazza aveva chiesto l’eutanasia di Stato, legale nei Paesi Bassi, ma i medici incaricati di esaminare il suo caso l’avevano respinto, in virtù della giovane età e del problema psichiatrico alla fonte. Noa è stata indirizzata verso psicoterapie e la sua richiesta rinviata al compimento dei 21 anni per una nuova eventuale valutazione dell’eutanasia”.

Sulla vicenda è intervenuto anche Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, che si batte per rendere legale l’eutanasia in Italia, per ribadire che l’Olanda non ha autorizzato l’eutanasia e che in passato la ragazza era stata ricoverata in diversi ospedali.

 

 

In Olanda l’eutanasia può essere accordata a partire dai 12 anni di età, ma solo dopo che un medico abbia certificato che la sofferenza del paziente è insopportabile e senza via di uscita. Nel 2017, circa 6.585 persone hanno chiesto e ottenuto l’eutanasia in Olanda, circa il 4,4 per cento dei decessi totali nel Paese.

La storia

In un ultimo post su Instagram, Noa ha scritto “amore è lasciare andare, in questo caso”, chiedendo ai suoi follower di non cercare di farle cambiare idea.

Noa aveva manifestato il suo disagio a più riprese, fin da giovanissima, scrivendo anche un’autobiografia intitolata ‘Vincere o imparare’ in cui descriveva i suoi sforzi per superare i suoi disturbi, insorti dopo una violenza sessuale subita da bambina.

Con il libro, spiegava, voleva aiutare i giovani più vulnerabili a lottare per la vita, lamentando che in Olanda non ci siano strutture specializzate dove gli adolescenti possano ottenere supporto fisico o psicologico in casi simili. Successivamente, aveva espresso sui social il suo desiderio di farla finita, spiegando che non si è trattato “di una scelta impulsiva, ma a lungo meditata”.

 

Lo psichiatra 

“Inconcepibile”. E’ il commento dello psichiatra Giuseppe Nicolò, direttore dipartimento di Salute mentale Asl Roma 5, intervistato oggi sull’Huffington Post da Silvia Renda.

Secondo lo psichiatra sono due gli elementi a colpire maggiormente: da un alto, la giovane età della ragazza  – che avrebbe dovuto essere un deterrente a dare il consenso a una soluzione così estrema (“immaginare, a quell’età, di dichiarare inguaribile un disturbo post traumatico e che l’unica soluzione sia quella di porre fine alla vita del soggetto è una cosa che per la mia formazione, per il mestiere che faccio, è inconcepibile”) –  dall’altro,  il tema “culturale” che marca la distanza tra Olanda e Italia.

“L’Olanda – dice – pone al centro la libertà del cittadino, mentre in Italia la salute è un bene collettivo, sono concetti diversi”. Per cui nel nostro Paese il medico “può obbligare a curarsi”  una persona affetta da malattia psichiatrica grava con il Trattamento sanitario oblatorio (Tso).

Per questo – secondo Nicolò – la storia di Noa racconta anche un fallimento del sistema (“sociale e sanitario”) che deve sostenere i pazienti, soprattutto quelli più giovani. “Questa ragazza – dice – non ha trovato nessuna speranza nell’idea del futuro, per lei non c’erano motivazioni per vivere”.

L’eutanasia in Europa

E’ stata l’Olanda nel 2002 il primo Paese a legalizzate l’eutanasia diretta e il suicidio assistito e, due anni più tardi, ad approvare il “protocollo di Groningen” sull’eutanasia infantile. E’ cominciato in questo modo un percorso decisamente difficile e animato da un dibattito spesso molto acceso che in Europa ha portato ad adottare soluzioni diverse, in altri casi più sfumate e in altri più radicali, con Paesi che hanno riconosciuto l’eutanasia e altri che hanno continuato a bandirla come omicidio.

Il primo a seguire l’esempio dell’Olanda è stato il Belgio, che nel 2003 ha legalizzato l’eutanasia e che nel 2016 l’ha estesa ai minori. In Lussemburgo, dove è stata legalizzata nel marzo 2009, questa pratica vale invece soltanto per gli adulti e per i pazienti in condizioni di salute considerate “senza via d’uscita”. La Svizzera prevede sia l’eutanasia attiva indiretta (assunzione di sostanze i cui effetti secondari possono ridurre la durata della vita), sia quella passiva (interruzioni dei dispositivi di cura e di mantenimento in vita), sia il suicidio assistito.

La Francia ha introdotto con la legge Leonetti del 2005 il concetto di diritto al “lasciar morire”, che favorisce le cure palliative. In Gran Bretagna, dove l’interruzione delle cure a certe condizioni è autorizzata dal 2002 e si è introdotto anche il concetto dell’aiuto al suicidio “per compassione”, dal 2010 le sanzioni sono meno dure che in passato. La Svezia ha legalizzato l’eutanasia passiva nel 2010, tollerata anche in Germania, Finlandia e Austria su richiesta del paziente.

In altri Paesi, come Danimarca, Norvegia, Ungheria, Spagna e Repubblica Ceca il malato può rifiutare le cure o l’accanimento terapeutico. In Portogallo sono condannate sia l’eutanasia passiva sia quella attiva, ma è consentito a un comitato etico di interrompere le cure in casi disperati. L’eutanasia resta invece illegale in Irlanda e in Italia.

 

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