Omicidio Sacchi: imputati soffrono di claustrofobia, rinviata udienza d’appello

rifiutano il trasferimento da Rebibbia a Piazzale Clodio sulla camionetta della polizia penitenziaria

La claustrofobia degli imputati e un disguido tecnico sul loro trasporto dal carcere al tribunale, fanno slittare il processo d’appello sull’omicidio di Luca Sacchi. La decisione viene presa dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma, dopo aver appreso che Valerio Del Grosso e Paolo Pirino, condannati in primo grado per l’omicidio del giovane, a 27 e 25 anni, soffrono di claustrofobia e per questo rifiutano il trasferimento da Rebibbia a Piazzale Clodio sulla camionetta della polizia penitenziaria.

La difesa dei due imputati chiede e ottiene lo slittamento dell’udienza, che viene aggiornata al 23 febbraio, per “dare loro la possibilità di essere presenti”. Quel giorno arriveranno a Piazzale Clodio in ambulanza.”Per un genitore è sempre un’agonia essere qui”, dice il padre di Luca Sacchi, Alfonso, dopo l’udienza, “qui si parla di cavilli”, “e non posso non pensare che quando hanno ucciso mio figlio quei due erano in una Smart che è molto più piccola di un camionetta per il trasporto detenuti”.

“Io soffro di attacchi di panico da quando è morto Luca – dice Tina Galati, madre della vittima – soffro di tachicardia e non sento più da un orecchio, eppure sono qui perché sono la mamma. Ma non si può allungare sempre questa tortura, non ce la faccio più. Voglio che finisca questo processo per poter stare sola con il mio dolore”.Luca Sacchi venne ucciso con un colpo di pistola sparato alla testa, il 23 ottobre del 2019, nei pressi di un pub nel quartiere Appio Latino di Roma. Oltre a Del Grosso, reo confesso dell’omicidio, e Pirino, che lo accompagnava, in primo grado sono stati condannati anche Marcello De Propris, a 25 anni, per aver fornito loro la pistola, e la fidanzata della vittima, Anastasiya Kylemnyk, a 3 anni per violazione della legge sugli stupefacenti.

La tragedia nacque da un tentativo di rapina di Del Grosso, intenzionato, secondo la ricostruzione dell’accusa, a rubare 70mila euro pattuiti per una partita di marijuana, senza fornirla. I soldi, mai trovati dopo l’omicidio, sarebbero stati nascosti, prima della rapina, nello zainetto di Anastasiya e Luca morì, colpito da un proiettile, mentre tentava di difendere la ragazza dall’aggressione di Del Grosso.

Dopo la morte del ventenne, una valanga di falsità venne scaricata sul caso da coloro che, la sera del 23, avevano organizzato il tentato acquisto di stupefacenti, o vi avevano partecipato, a cominciare dal miglior amico della vittima, Giovanni Princi, condannato per droga in abbreviato. Secondo l’accusa proprio Princi avrebbe recuperato i 70 mila euro dall’auto di Anastasiya, dove erano stati nascosti. Lo avrebbe fatto poco dopo il ferimento di Luca, mentre il ragazzo moriva in ospedale.

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