Terminato anche il turno di ballottaggio, tutti i partiti analizzano il voto tirando le somme dei comuni persi o guadagnati. Chi sicuramente canta vittoria e’ il centrodestra, diviso in sede nazionale ma compatto, sia pure con alcune – ed in certi casi importanti – eccezioni (vedi per esempio Ascoli Piceno, dove ha prevalso il candidato di FDI, sostenuto anche dalla Lega, contro l’aspirante sindaco di Fi). Quello che sta emergendo nelle varie elezioni, dalle politiche dello scorso anno ad oggi, e’ che se il centrodestra sara’ riesumato a livello nazionale sara’ una coalizione diversa da quella vista negli ultimi anni: non piu’ a trazione forzista con il suo leader carismatico Silvio Berlusconi, ma a guida leghista con Matteo Salvini nuovo “federatore”.
A leccarsi le ferite sono invece i cinquestelle. Sono lontani i successi che avevano portato alla conquista di vari comuni, da Roma a Torino, da Livorno ad Avellino. Proprio queste due ultime citta’ hanno voltato le spalle al Movimento e sono tornate nell’alveo del centrosinistra. Magra consolazione, la conquista di Campobasso dove la vittoria e’ stata possibile, si dice, grazie anche ad un accordo di desistenza con il Pd.
Il partito di Nicola Zingaretti, infine, si trova con il classico bicchiere “mezzo pieno e mezzo vuoto”. Ha infatti riportato significative sconfitte a Ferrara e Forli’ (e questo e’ un brutto segnale per le elezioni regionali in Emilia-Romagna che si terranno a fine anno o, al piu’ tardi, all’inizio del 2020) ma puo’ registrare i successi a Livorno ed in altri importanti capoluoghi.
Passata la stagione elettorale, ora il “governatore del Lazio e leader del Pd puo’ lavorare piu’ serenamente alla ricostruzione del partito ed a una nuova rete di alleanze che non lo isolino a sinistra. In base ai risultati ed anche alla posizione di Fi e FdI (faccia feroce nei confronti del M5S, ma carezze alla Lega e lusinghe perche’ il partito di Salvini torni alla tradizionale coalizione di centrodestra), Zingaretti afferma – e con ragione – di essere la vera e unica alternativa al governo gialloverde. Ora, come detto, il suo lavoro sara’ principalmente, oltre la guida della Regione Lazio, quello di ricompattare il partito, ancora diviso tra renziani e antirenziani. Il fatto che l’ex premier abbia detto che non intende lasciare il partito (almeno per ora), dovrebbe portare tutti i dirigenti democratici a remare nella stessa direzione. Questo e’ l’auspicio di Zingaretti, che ha sempre contraddistinto la sua azione con la collegialita’. Se ci sara’ collaborazione da parte di tutti, la sua politica per ripristinare il vecchio rapporto del Pd con gli elettori che lo hanno abbandonato sara’ sicuramente coronata da successo.