Roma, slitta al 26 aprile processo per occupazione abusiva a casa donne Lucha y siesta

L'immobile era stato messo all'asta nell'ambito del concordato fallimentare avviato per Atac dalla Giunta Raggi

L'assemblea pubblica ieri davanti alla casa delle donne Lucha y Siesta

Slitta al 26 aprile il processo per occupazione abusiva che colpisce l’associazione Casa delle donne Lucha Y Siesta che ha accolto e sostenuto dal 2008, in un immobile abbandonato dalla partecipata capitolina Atac nel quartiere tuscolano, centinaia di donne e bambini vittime di violenza, diventando un punto di riferimento anche per i servizi sociali e le forze dell’ordine della Capitale. Presenti al presidio, tra le volontarie, la senatrice Ilaria Cucchi, vicepresidente della commissione Giustizia, la consigliera capitolina di Sce Michela Cicculli, presidente della commissione capitolina Pari opportunità, tra le animatrici di LuchaySiesta, e la responsabile dell’ufficio capitolino Diritti Lgbt+ Marilena Grassadonia. “L’udienza è stata rinviata al 26 aprile per un problema tecnico – ha spiegato l’avvocata dell’associazione Federica Brancaccio, in un presidio convocato a piazzale Clodio, di fronte al Tribunale di Roma, insieme a decine di realtà femministe e associative -, ma sono certa che riusciremo a dimostrare che la presidente e tutte le volontarie dell’associazione si sono sempre battute al fine di dare assistenza e sostegno a quelle donne che in una città grande come Roma non avevano un posto dove rifugiarsi. Il lavoro volontario delle donne di Lucha non è stato di occupare un immobile sottraendolo al patrimonio dell’Atac, ma di usare un bene abbandonato per il bene della città”.

L’immobile era stato messo all’asta nell’ambito del concordato fallimentare avviato per Atac dalla Giunta Raggi, condannando la realtà allo sgombero, ma la Regione Lazio il 5 agosto 2021 ha concorso alla gara aggiudicandoselo, per proteggere l’esperienza. La procedura del suo affidamento alle volontarie si è incagliato nelle more della fine dell’amministrazione Zingaretti, mentre un procedimento contro l’associazione mosso da Atac per la sua occupazione è andato avanti fino alla prima udienza celebratasi oggi.

“Rivolgo un appello alla Regione Lazio – ha dichiarato Cucchi intervenendo al presidio – perché metta in essere tutte quelle procedure che mettano in sicurezza questa preziosa realtà e le donne che accoglie. Se siamo qui è solo il frutto del fallimento delle istituzioni, che non solo spesso abbandonano le vittime e gli ultimi, ma quando esistono realtà importanti che si sostituiscono alla loro assenza, vengono dalle istituzioni stesse abbandonate. Io sono qui per far sì che non accada”. “Vediamo la violenza delle istituzioni per quello che è – sottolinea all’Askanews Michela Cicculli – invisibilizzazione e attacco ai processi democratici che dal basso muovono il cambiamento. Le voci in conferenza stampa dimostrano che Lucha è una casa comune non più solo un progetto ma un simbolo concreto di libertà. Questo processo sul nome e sul corpo di una deve fermarsi non possiamo essere dalla parte delle donne iraniane o afghane senza essere con Lucha oggi”. “Il grido altissimo che si è alzato oggi a piazzale Clodio – spiega Grassadonia all’Askanews – rivendica la difesa e la necessaria stabilità di una esperienza preziosa come la casa delle donne LuchaySiesta, da sempre a fianco di tutte le donne anche della comunità lgbtq+”. Le realtà femministe cittadine intervenute al presidio hanno ricordato, come Oria Gargabo di Befree, “che Lucha è preziosa perché a Roma c’è un decimo dei posti d’accoglienza che sarebbe necessario garantire alle donne vittima d violenza secondo l’Unione Europea”. E che, come ha aggiunto Maura Cossutta della Casa internazionale delle donne di Roma, “abbiamo lottato insieme e ottenuto dallo Stato il riconoscimento del comodato gratuito per le case delle donne proprio contro quella logica ragionieristica che calcola i danni economici senza tener conto di quelli sociali. Che si applichi presto anche a LuchaySiesta, perché la legalità senza giustizia è solo ferocia sociale”.

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