Ha avuto il coraggio di ribellarsi, di denunciare. Non si è tirata indietro e, davanti alla violenza della criminalità, ha reagito e mandato dietro le sbarre due Casamonica, il clan reggente nel quartiere della Romanina, nella zona est della Capitale. Da ieri Roxana Roman, 34 enne di origine romena, è Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, titolo conferitole dal presidente Sergio Mattarella “per il suo contributo nell’affermazione del valore della legalità”.
“Sono emozionata e grata del riconoscimento – commenta la ragazza -. Onestamente non mi sento un’eroina, non ho fatto nulla di particolare. Certo è che sono onorata di poter far parte della società civile nella sua forma massima. Rifarei tutto ancora una volta”. Il “tutto” a cui fa riferimento Roxana risale al primo aprile, il giorno di Pasqua, quando un Casamonica, insieme con altri due membri del clan Di Silvio, fecero il loro ingresso nel bar di Roxana e del marito, l’ormai celebre Roxy bar.
Irritati per non essere stati serviti per primi, offesero il titolare ma una giovane disabile rispose loro di andar via dal locale se non si fossero trovati bene. Di tutta risposta presero a cinghiate la disabile, per poi andare via. Poco più tardi si ripresentarono nel locale devastando la vetrina e picchiando il titolare, lasciato riverso a terra nel sangue senza che nessuno dei clienti presenti avesse tentato di fermarli. Quaranta giorni dopo, in seguito alla denuncia di Roxana e alle numerose manifestazioni di solidarietà al Roxy Bar, gli autori delle violenze furono arrestati.
Tra loro anche un altro Di Silvio che nei giorni seguenti minacciò le vittime della violenza intimando loro di ritirare la denuncia. Lo scorso ottobre i tre Di Silvio sono stati condannati con rito abbreviato: 4 anni e 10 mesi ad Alfredo, 4 anni e 8 mesi a suo fratello Vincenzo e 3 anni e due mesi al nonno, Enrico. I tre erano accusati, a seconda delle posizioni, di lesioni, violenza private e minacce aggravate dal metodo mafioso. Antonio Casamonica, il quarto imputato, è ancora sotto processo per aver scelto il rito ordinario. Durante una delle udienze, in cui veniva ascoltata la disabile vittima delle violenze, urlò in aula verso la donna. “Dì che ti ho aiutato”, le sue parole, mentre la vittima spiegava al giudice di aver paura di ritorsioni.