“Per anni Roma è stata presa in ostaggio dai Tredicine”. A dirlo è Alfonso Sabella, 57 anni, già procuratore antimafia e oggi giudice del Riesame a Napoli, che affida alle pagine del dorso locale del Corriere il racconto della battaglia contro lo strapotere della famiglia di ambulanti, portata avanti quando ricopriva la carica di assessore alla Legalità nella giunta Marino.
Savella ricorda con “grande rammarico di non essere riusciti ad andare in fondo”, nonostante alcune vittorie incassate, come quella sull’allontanamento dei camino bar dai luoghi di pregio, il cui merito, per il giudice, va all’assessora Marta Leonori che, “puntando su occupazioni di suolo pubblico, ostacoli alla circolazione, decoro” è riuscita a spuntarla su una vicenda in cui non c’erano prove evidenti di “intimidazione e corruzione”. Questo uno dei motivi per cui non è stato invece possibile vincere a piazza Navona dove le concessioni date, dice Sabella, era “discutibili ma inattaccabili”.
Rispetto ai bandi, il giudice sostiene di non poter dimostrare l’esistenza di “collusioni” e parla quindi di “pigrizia, incompetenza e paura” nel cercare di risolvere una situazione che era molto complessa.
In conclusione sulla vicenda dei Tredicine per Sabella ha pesato l’assenza di sentenze della magistratura che, se invece arriveranno, permetteranno al Campidoglio di agire più facilmente.
Due settimane fa la notizia che nell’inchiesta sui permessi per le postazioni dei venditori ambulanti sono indagati tra gli altri un dirigente del Comune ed esponenti della famiglia Tredicine, che storicamente a Roma gestisce parte del commercio degli ambulanti.