L’infermiere picchiato al Gemelli di Roma “è l’ennesimo episodio: ormai si dovrebbe parlare di sistema”. Lo dichiara in una nota il presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Roma Maurizio Zega.
“Abbiamo appena finito di lanciare l’allarme sulle violenze agli infermieri e agli altri operatori sanitari, insieme all’Ordine dei medici e alla Regione Lazio, ed ecco che la cronaca ci riporta dell’ennesima aggressione avvenuta nella nostra città. La nostra solidarietà al collega aggredito, ma ormai si dovrebbe parlare più di sistema che di episodi”, afferma Zega.
Ogni anno circa un terzo degli infermieri che lavorano in Italia subisce un aggressione: di questi, il 75 per cento è donna. Un quarto degli infermieri che ha segnalato di aver subito violenza riporta un danno fisico o psicologico causato dall’evento stesso – riporta Zega . In più del 10 per cento dei casi si hanno danni fisici o psicologici che causano disabilità permanenti, modifiche delle responsabilità lavorative o inabilità al lavoro. Il 15 per cento degli infermieri colpiti da violenze dichiara che questo ha comportato un’assenza lavorativa. “Conseguenza ovvia è l’abbassamento del livello di qualità di assistenza ai pazienti. Un danno sociale non solo agli infermieri o ai medici, ma all’intera comunità”.
L’Ordine delle professioni infermieristiche “fa del suo meglio per preparare i professionisti a riconoscere, identificare e controllare i comportamenti ostili e aggressivi anche con appositi corsi Ecm – prosegue Zega -. Ma molto dipende dalla Direzioni generali della aziende, che devono predisporre misure per la sicurezza degli operatori sanitari tra gli obiettivi aziendali primari. Siamo pochi, a causa di questo lavoriamo troppo, e questo comporta, anche, la riduzione di quel “tempo di relazione”, con il paziente e con i suoi familiari, che ‘è tempo di cura’. A non dire che veniamo pagati ridicolmente poco rispetto alla media europea. Come stupirsi poi dell’esodo di colleghi verso l’estero? Proseguiremo – conclude Zega – anche con i medici e con la Regione Lazio, l’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla violenza ai nostri danni, ma non basta: il fatto è che ci vuole una sanità proattiva e dinamica, su base locale. Che liberi dall’intasamento le strutture ospedaliere valorizzando le competenze professionali di tutti gli operatori sanitari”.