Santa Maria Capua Vetere, ex detenuto: “Con il manganello anche la direttrice”

Altro detenuto: "Ci urlavano, vi uccidiamo". Al via indagine ispettiva Ministero

“Non posso ripensarci, vado al manicomio. Secondo me erano drogati, erano tutti con i manganelli, anche la direttrice”. Sono le parole con cui Vincenzo Cacace, Ex detenuto sulla sedia a rotelle nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ricorda il pestaggio da parte della polizia penitenziaria avvenuto lo scorso aprile. “Sono stato il primo ad essere tirato fuori dalla cella insieme con il mio piantone perche’ sono sulla sedia a rotelle – racconta -. Ci hanno massacrato, hanno ammazzato un ragazzo. Hanno abusato di un detenuto con un manganello. Mi hanno distrutto, mentalmente mi hanno ucciso. Volevano farci perdere la dignita’ ma l’abbiamo mantenuta. Sono loro i malavitosi perche’ vogliono comandare in carcere. Noi dobbiamo pagare, e’ giusto ma non dobbiamo pagare con la nostra vita. Voglio denunciarli perche’ voglio i danni morali”.

“Io nel video sono quello incappucciato, quello che prende botte in testa, alla schiena, alle gambe, al volto”. Salvatore Q. detto Sasà, 45 anni, accusato di spaccio, è uno di quei detenuti pestati al Reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere, il 6 aprile 2020. Ora è agli arresti domiciliari e accetta di parlare con il quotidiano la Repubblica. “Anche quando sono andato fuori dal carcere di Santa Maria, non ho più dormito per settimane. La rabbia, la paura, lo choc, l’impotenza. Non lo so che cosa è stato. So di avere visto, in quelle ore, in carcere, molti che tremavano vicino a me, nelle celle. E forse tremavo pure io e non lo sapevo”, sottolinea.

“Vennero queste guardie da fuori… Lo so, non si chiamano guardie né secondini, ma tra noi sapete c’è il linguaggio del carcere. Comunque un gruppo che si vedeva subito: intenzionato al peggio. Venuto per fare squadrismo”, racconta ancora.

“Si concentrarono su quasi tutti i piani del Reparto Nilo. Ci costringevano a uscire e ci buttavano nei corridoi. Dove c’erano decine di loro a destra e a sinistra. Noi passavamo in mezzo: arrivavano manganelli, calci, pugni. Io ho preso un sacco di cazzotti e colpi alla schiena, me l’hanno fotografata, sta agli atti…”, ricorda. “Ci riempivano di maleparole. Mi dicevano: ‘Vi uccidiamo. Non vi illudete, qui comandiamo noi'”.

Le accuse

Le responsabilita’ dell'”orribile mattanza”, come la definisce il gip Sergio Enea, avvenuta il 6 aprile di un anno fa nell’istituto di pena di Santa Maria Capua Vetere dopo una sommossa dei detenuti per un caso di Covid 19 tra loro, non sono solo degli agenti della penitenziaria implicati nella perquisizione alle celle, illegittima anche perche’ disposta oralmente.

Nelle 2.300 pagine della misura cautelare, emerge con chiarezza non solo il ruolo del provveditore campano alle Carceri, Antonio Fullone, ma anche quello del comandante della polizia penitenziaria nell’istituto di pena, Gaetano Magnanelli, e di altre figure apicali, tutti destinatari di provvedimenti restrittivi o interdittivi.

Per quanto riguarda il comandante, la sua partecipazione alla perquisizione straordinaria nel reparto in cui era partita la protesta, il Nilo, tramutatasi in violenza e tortura, “non e’ minimamente discutibile – scrive il gip – si evince nitidamente oltre che dalle dichiarazioni rese da Anna Rita Costanzo (anche lei indagata, ndr.) nel corso del suo interrogatorio (“io arrivai dopo che i comandanti si erano riuniti per distribuire i ruoli e compiti nella stanza di Manganelli dove l’operazione era stata pianificata”… “non so dire come fosse stata pianificata e organizzata ne’ lo compresi dopo”… “io arrivai in istituto prima che iniziasse la perquisizione, a cosa pianificate”) anche dai messaggi che scambia con gli altri protagonisti i nel corso della mattina.

“Quindi comunque dovremmo pianificare”, scrive Manganelli, e ancora “dovremmo capire se fare solo la terza sezione o alle altre sezioni”. Alle 13:38 Manganelli manda al provveditore Fullone questo messaggio: “Stiamo pianificando operazione” e poi a Maria Parenti direttore facente funzione del carcere samaritano “stiamo per effettuare la perquisizione straordinaria”. Lo stesso Manganelli, “consapevole” che l’operazione non sarebbe avvenuta a mani nude, per cosi’ dire, informa Fullone: “Utilizziamo anche scudi e manganelli”, ricevendo da questo e’ un assenso condizionato al fatto che si rendono veramente necessari “Ok Se necessario ovviamente”.

Appurato che la perquisizione riguardava all’intero reparto Nilo, alle 14:19 Manganelli comunica a Pasquale Colucci, uno degli ispettorei piu’ attivi tra i 52 indagati, che loro stanno procedendo “Stiamo procedendo”. Che il capo interno della penitenziaria mantenesse il controllo delle dell’operazione lo si evince dai messaggi inviati a Fullone, in cui lo avvisa degli esiti della perquisizione, della necessita’ di trasferire alcuni detenuti a suo dire facinorosi.

“I soliti hanno fatto resistenza – scrive – sono 8 da trasferire perche’ non abbiamo posto “, e poi “sono sono aumentati i numeri”, “provveditore questi devono essere spostati stasera”, proponendo come soluzione anche la loro temporanea allocazione nel reparto femminile del carcere. Alla fine mostra soddisfazione: “Buonanotte provveditore grazie per la determinazione assunta per la concreta vicinanza”. La sua presenza all’interno del reparto Nilo e’ stata confermata da detenuti. Dunque dice il gip non e’ minimamente dubitabile la responsabilita’ a titolo di concorso in vari reati, dato che ha partecipato all’organizzazione della perquisizione e ne ha controllato gli esiti. Invece “avrebbe dovuto adottare ogni misura atta a scongiurare forme di violenza ai danni dei detenuti o intervenire per interrompere la perquisizione una volta accortosi che si trasformava in una mattanza ma e’ rimasto sostanzialmente inerte rispetto alle violenza degli agenti della penitenziaria”.

Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile reparto Nilo del carcere, presente quel giorno, come ha ammesso durante l’interrogatorio, ha pure partecipato e coordinato l’attivita’ di perquisizione anche se ha tentato di sminuire il suo ruolo. La si vede nei video del circuito interno del carcere fermarsi con ispettori e agenti per dare indicazioni e le chat nel suo telefono mostrano come si vanti dell’esito della perquisizione: “Un’operazione eccellente … Siamo tutti molto soddisfatti … Meno male che sono venuta mi sono riscattata”. E’ stata poi riconosciuta dalla quasi totalita’ dei detenuti ascoltati dai pm. Anzi qualcuno di loro ha specificato che era presente ad alcuni pestaggi senza intervenire per fermare gli agenti. Un paio di loro riferiscono anche che lei stessa ha usato violenza anche se, avvisa il gip, non ci sono riscontri di questo in nessuna delle riprese video.

A lei il gip muove le stesse contestazioni mosse a Manganelli.

Al via indagine ispettiva

“La Procura di Santa Maria Capua Vetere ha dato disponibilità al via libera all’indagine ispettiva disposta dalla Ministra Cartabia, in accordo con il capo del Dap Petralia: un accertamento che si affiancherà all’indagine penale della magistratura. Il punto di partenza è chiaro: nessuno sconto a chi ha sbagliato, a tutela anche della stragrande maggioranza di agenti che svolge il proprio lavoro in modo impeccabile. Per questo l’analisi del Ministero sarà estesa a tutti gli eventuali episodi analoghi che possano essersi verificati all’interno degli istituti”. Così a Radio24 il Sottosegretario alla Giustizia con delega alle polizia penitenziaria Francesco Paolo Sisto che poi ha proseguito: “Nella riunione straordinaria convocata ieri dalla Ministra, alla quale ha preso parte anche il Garante Nazionale dei detenuti, sono stati fissati immediati incontri sia con gli 11 provveditori sia con tutte le sigle sindacali della Polizia penitenziaria per veicolare, con i provvedimenti necessari ,un messaggio chiaro: dobbiamo concepire il carcere come una grande comunità, in cui tutti hanno lo scopo di garantire l’applicazione dei princìpi costituzionali. La scommessa culturale che dobbiamo vincere è quella di superare la dicotomia tra detenuti e agenti penitenziari per dare pieno contenuto alla funzione rieducativa della pena. Nella riunione è inoltre emersa la necessità di verificare con puntualità le procedure della filiera di comando, restituendo loro maggiore rigorosità documentale, con specifico riferimento alle ispezioni straordinarie. A ciò si affianca l’installazione generalizzata di sistemi di videosorveglianza negli spazi comuni degli istituti, nonché una maggiore attenzione alla formazione permanente della PolPen e l’istituzione di un servizio medico interno alla penitenziaria che possa garantire una più efficace assistenza psicologica a chi è sottoposto a simili, assillanti stress”.

 

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