La pubblicazione di documenti riservati nel libro “Sua Santità” del giornalista Gianluigi Nuzzi apre nel 2012 il primo scandalo Vatileaks. Nel volume sono riportate carte segrete di Benedetto XVI e si mettono in evidenza divisioni e contrasti interni sugli indirizzi di governo e sulla gestione dello Ior (Istituto per le opere di religione), la banca vaticana.
Poco prima dell’uscita del libro il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, annuncia che la Gendarmeria Vaticana per quella fuga di notizie ha fermato un uomo, trovato in possesso di carteggi riservati del Papa. Si tratta del primo arresto della storia a opera della Gendarmeria vaticana e avviene nello stesso giorno in cui Ettore Gotti Tedeschi è allontanato dallo Ior.
L’uomo, arrestato per la fuga di notizie, è Paolo Gabriele, “aiutante di camera di Sua Santità”, in pratica un assistente e consigliere di fiducia, la persona più vicina a Joseph Ratzinger. Fin da subito gli inquirenti sospettano che Gabriele non sia l’unico coinvolto nello scandalo e nel corso delle indagini arrivano a ipotizzare la collaborazione di almeno una ventina di persone. Ratzinger chiede a tre cardinali – Jozef Tomko, Julian Herranz e Salvatore De Giorgi – di indagare per comprendere chi abbia guidato Gabriele, però non è noto se i tre siano arrivati a una risposta.
Il processo, in due filoni, inizia pochi mesi dopo l’arresto e annovera due imputati: Paolo Gabriele e Claudio Sciarpelletti, un dipendente della Segreteria di Stato. Inizia a fine settembre del 2012 e si conclude in un lampo: una settimana e quattro udienze per Gabriele, condannato a tre anni ridotti poi a un anno e sei mesi; cinque giorni di udienze per Sciarpelletti condannato a 4 mesi poi ridotti a due. A entrambi, successivamente, Benedetto XVI concede la grazia del perdono e la pena viene condonata. Durante il processo a suo carico Gabriele ammette le responsabilità e afferma di “aver tradito la fiducia del Papa” ma apre pure a dubbi su ingerenze esterne sullo Stato Vaticano: “La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di avere agito per amore esclusivo, direi viscerale, per la Chiesa di Cristo e per il capo visibile”. Tuttavia sullo scandalo, a cui ne seguì un altro nel 2015 e che ha investito il papato di Bergoglio, sono molti gli interrogativi irrisolti. Paolo Gabriele, nel frattempo, è morto nel 2020, a soli 54 anni ed è oggi ricordato come il “maggiordomo infedele” del Papa, nonostante abbia ricevuto la grazia e, per questo, abbia continuato a lavorare in strutture collegate alla Santa Sede pure dopo la condanna.