La decisione padronale di Sky di restringere la base giornalistica e di trasferire la redazione del Tg a Milano, che ha suscitato una sorta di rivolta raccogliendo anche la solidarietà dei colleghi della Rai, si presta ad alcune riflessioni sul ruolo e sul peso politico del giornalismo nel nostro Paese, al di là dello sviluppo della vertenza che si è aperta sul piano sindacale.
E’ vero che l’informazione giornalistica conta sempre meno sul consenso dell’opinione pubblica, come ha dimostrato anche il risultato dell’ultimo referendum, decisamente in controtendenza rispetto al sostegno della maggior parte della stampa. Ed è anche vero che non è solo un fatto italiano, come è successo anche negli Usa, dove è diventato Presidente Donald Trump, nonostante avesse la maggior parte dei media contrari.
L’ informazione nel nostro Paese risulta però agli ultimi posti nelle classifiche sulla libertà di stampa. Anche se editori e giornalisti non danno importanza a queste graduatorie internazionali, è evidente la timidezza della stampa verso i governi, che l’hanno sempre sostenuta. Nonché la predisposizione a supportare l’establishment politico, economico e finanziario (vedi l’assenza di allarmi ai risparmiatori prima dello sfacelo di alcune banche), proprietario delle principali testate, piuttosto che essere quel “quarto potere” di stampo anglosassone dalla parte dei cittadini e dei lettori.
Così non deve stupire che dal mattino alla sera i giornalisti vengano traslocati dove il padrone vuole, tanto privato che pubblico. Non dimentichiamo il progetto di portare la redazione del TG2 Rai a Milano. Non è tanto in discussione la scelta che può essere più o meno opportuna, ma la decisione di non aver preliminarmente coinvolto i giornalisti delle rispettive strutture nel varo di strategie che non sono estranea alla resa e qualità del loro lavoro.
La mobilitazione sindacale che segue è certamente opportuna e si farà sentire sulle scelte padronali finali, ma la vicenda Sky e quella Rai che si è appena affacciata, impongono al giornalismo nostrano di riflettere quanto sia opportuno stare prevalentemente dalla parte del padrone o della politica. Col risultato di farsi trattare come una merce e contare sempre meno anche fra la gente.