Il Governatore del Lazio e segretario del Pd, Zingaretti, è consapevole dell’importanza della consultazione elettorale per il presidente e il consiglio regionale in una Regione come l’Emilia Romagna, da sempre amministrata dal centrosinistra.
Tanto da sottoporsi, dopo aver lasciato l’iniziativa soprattutto al candidato presidente Stefano Bonaccini, a un ultimo tour tra le provincie di Bologna e Ferrara, durante il quale ha assicurato che presto si aprirà la fase di rinnovamento del partito.
Riguardo al governo, dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da leader del M5S, ha auspicato che la maggioranza eviti le polemiche e operi con molta concretezza. ‘’Gli alleati sono alleati – ha sottolineato Zingaretti – e quindi bisogna fare una proposta unitaria al Paese’’.
Quello di domenica, soprattutto in Emilia Romagna, per il Pd e per lo stesso governo è un voto importante, anche se dalle parti di Palazzo Chigi si tende a sminuire questi appuntamenti elettorali ( anche la Calabria è chiamata alle urne ) a semplici consultazioni locali, senza alcuna influenza a livello nazionale.
Il fatto e’ che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non vuole assolutamente legare le sorti del suo esecutivo ai risultati di domenica. Una scelta dettata dalla memoria del triste epilogo del premierato di Massimo D’Alema e che sconfinò nella vittoria del centro-destra. Era il 2000 e D’Alema affidò la sua posizione di capo del governo all’esito, quasi mai determinante, di una consultazione regionale.
In effetti, si tratta di un voto che interessa solo due regioni e che i chiamati alle urne sono circa 4 milioni (3 milioni e mezzo in Emilia-Romagna e 500 mila in Calabria) quando il corpo elettorale italiano supera i 51 milioni. Quindi alle due consultazioni e’ chiamato meno di un decimo dell’elettorato nazionale. Troppo poco per avere una valenza nazionale.
Ma il voto a Bologna e dintorni ha un valore che travalica la consistenza dei votanti.
Il fatto e’ che la regione emiliana ha un alto peso simbolico per la sinistra italiana.
Ininterrottamente governata dal 1970 (anno in cui si svolsero le prime elezioni per le regioni a statuto ordinario) prima dal Pci, e poi dal Pds, dai Ds e dal Pd, l’Emilia-Romagna e che insieme con la Toscana, e’ motore pulsante per il partito guidato ora da Nicola Zingaretti.
E’ una regione dove l’attuale Pd ha forgiato uno straordinario connubio tra politica ed economia con uno stretto rapporto con il mondo cooperativo. E da qui, inoltre, proviene una larga parte della dirigenza di centrosinistra (per restare agli ultimi decenni, Romano Prodi e Pier Luigi Bersani ed oggi il capo della delegazione ministeriale del Pd nel governo Conte-bis, Dario Franceschini).
Perdere l’Emilia-Romagna sarebbe quindi per la sinistra italiana un colpo durissimo, quasi da KO, il che potrebbe influire sulle sorti future del governo, che già naviga nelle acque tempestose e litigiose che contraddistinguono soprattutto i rapporti tra M5S e Italia Viva di Matteo Renzi.
Lo sa bene Zingaretti e per questo si e’ attenuto, sia pure di malavoglia, alle richieste del candidato presidente del centrosinistra, l’uscente Stefano Bonaccini che giammai vuole legare la sua campagna elettorale all’attività del governo, vista anche la disastrosa esperienza umbra e della “fotografia di Narni”.
Strana comunque la campagna elettorale in regione. Mentre Bonaccini non ha voluto impegnare il suo segretario nazionale ed i ministri del Pd nella battaglia per la riconferma, la sua rivale piu’ accreditata, la leghista Lucia Bergonzoni, affida tutte le sue chanches di vittoria alla costante presenza di Matteo Salvini che ha percorso in lungo ed in largo tutto il territorio regionale, visitando anche il più piccolo centro appenninico.
Anche se tutti i sondaggi danno un testa a testa tra Bonaccini e Bergonzoni, con il primo in leggero vantaggio, il governatore del Lazio e leader del Pd e’ fiducioso in una riconferma del suo candidato. A farlo guardare con un certo ottimismo all’esito della consultazione elettorale emiliana e’ l’exploit del movimento delle Sardine, che proprio a Bologna e’ nato per contrastare le politiche sovraniste di Salvini.
Nelle piazze il successo c’e’ stato. Bisogna vedere se la piazza si trasformerà in voti nelle urne.
Significativo anche l’ultimo appello di Bonaccini, al voto disgiunto. Ossia un invito al voto sia ai simpatizzanti del Movimento 5 Stelle, sia a quelli di centrodestra, poco convinti della candidata Lucia Borgonzoni, motivato dal suo buon governo della Regione.
Quanto alla Calabria, la Regione e’ già data per persa in favore del centrodestra.