Parliamoci chiaro, le buone intenzioni c’erano tutte. Come a dire, una fiction non è un documentario e pertanto non di rado il verosimile si sovrappone al vero per esigenze di sceneggiatura e la storia passa in secondo piano. La lunga notte, in onda nei giorni scorsi su Rai 1, non fa eccezione, con qualche scivolata veniale e qualche svarione che con un pizzico d’attenzione si sarebbe potuto evitare. Gli errori ci sono e si vedono e non riguardano solo la figura di Mussolini, seppur egregiamente interpretato dal bravo e camaleontico Duccio Camerini.
Ottima l’idea di portare sullo schermo uno dei momenti chiave della storia italiana recente. E altrettanto buona la volontà di raccontare il tutto con un linguaggio contemporaneo, che mira a coinvolgere un pubblico più vasto per calarlo nei fatti del 25 luglio del 1943 e negli avvenimenti che lo precedettero e lo seguirono. Partiamo da Mussolini, che nella fiction appare troppo spesso come un uomo in preda ai deliri di onnipotenza, quasi demoniaco. Non è così. Il Duce di quel torrido luglio del 43 è un’anima in pena, un uomo finito, prostrato dagli eventi (la Sicilia invasa, le bombe su Roma). Ne rimane solo l’ombra del Mussolini tutto armi e lance che ha conquistato l’Italia. E persino nella descrizione della seduta del Gran Consiglio traspare un duce urlante, invasato. No, Mussolini era dimesso, vinto nel morale prima ancora di perdere davvero.
Claretta. L’amante di Mussolini, la donna che morì per lui e con lui, viene raffigurata quasi come una maitresse, perennemente sdraiata sul letto o preda degli appetiti sessuali del duce. Claretta era forse ingenua ma provava sentimenti veri, puri per un uomo dall’indubbio carisma e fascino. Dalla tv ne esce invece una figura ridotta, distorta che non le rende giustizia. Ed Edda, l’unica donna che Mussolini temeva, appare troppo fragile, indifesa dinnanzi al padre. Edda, invece, non piegò mai la schiena. E che dire di Giuseppe Bottai, relegato a ruolo di spalla di Dino Grandi. Bottai fu forse il vero ispiratore del famoso ordine del giorno. Non è tutto. Ci sono errori marchiani come quello su Grandi il quale, appena ricevuto da Vittorio Emanuele il Collare dell’Annunziata si rivolge al sovrano con il titolo di Altezza. Al di là dell’ironia (Vittorio Emanuele era alto un metro e 54), al monarca spettava sempre il titolo di Maestà ed è difficile che un ex ambasciatore in Gran Bretagna non lo sapesse.
(Foto archivio Luce)