Alessandra Spinelli per Il Messaggero
Il nome stesso è un manifesto. Rende infatti immediatamente chiaro il significato dell’espressione di personalità uniche, iconiche, peraltro essenziali nel panorama mondiale, proprio ora, che la marea rosa di Washington e di altre città ha lasciato il segno nell’agenda globale. Si chiama “Une”, il nuovo ciclo di mostre di arte contemporanea dell’Accademia di Francia Villa Medici, che vedrà esponenti di spicco internazionale esporre le proprie opere in un rapido tourbillon di date.
Da Annette Messager a Yoko Ono, da Claire Tabouret a Camille Claudel in dialogo con Elizabeth Peyton fino a Tatiana Trouvé. «Sono delle vere e proprie maestre, ognuna del proprio tempo, artiste anticonvenzionali unite tutte da una sorta di leggerezza, quasi di humour» spiega Chiara Parisi, eminenza dell’arte internazionale, che dell’intero ciclo è la curatrice.
Vulcanica ed empatica, la storica dell’arte, romana doc, formatasi al liceo Virgilio e alla Sapienza, dove poi ha insegnato, torna a Villa Medici dopo tredici anni in Francia dove ha diretto il Centre international d’art e du paysage de l’Île de Vassivière e dove ha guidato come direttore artistico la Monnaie de Paris. Esperienze entusiasmanti visto che sotto la sua direzione l’istituzione francese nel cuore della Ville Lumière si è trasformata in un importante centro di creazione contemporanea e professioni artistiche con mostre cult come la “Chocolat Factory” di Paul McCarthy o la personale “Not Afraid of Love” di Maurizio Cattelan.
«È stato un grande successo – sottolinea mentre volge lo sguardo azzurro fuori dalle grandi vetrate dell’Accademia su Roma assolata sotto Trinità de’ Monti – Ma io sono figlia di Villa Medici sono cresciuta con Bruno Racine. E quando Muriel (Muriel Mayette-Holtz la direttrice dell’Accademia di Francia da un anno, ndr) mi ha illustrato il suo progetto sono stata entusiasta. Dalle lunghe chiacchierate con lei è nato questo nuovo ciclo di mostre e anche il nome».
Sono tutte donne. Pink power? C’è una specificità femminile nell’arte contemporanea?
«Sapevo che sarebbe stato notato. No, in realtà c’è la specificità di ogni artista scelta. Sono di diverse generazioni e ognuna rappresenta il suo tempo. Si comincia con la personale di Annette Messager, la prima in Italia. Lei è identificata con gli anni Settanta quando ha cominciato con il clima radicale e anticonformista di quegli anni tant’è che le Fernen ucraine riconoscono in lei lo spirito femminista, non convenzionale».
L’esposizione, dal 10 febbraio al 23 aprile, si chiama “La Messaggera di Villa Medici”, un chiaro omaggio. Il catalogo della mostra poi sarà una sorta di diario intimo dell’artista che esplora la paura e le fantasia delle donne e i pregiudizi verso di loro.
«Vedremo alcune sue opere più significative, mai viste in Italia, ed altre create appositamente, che testimoniano il suo eclettismo con riferimenti all’arte e alla cultura popolare. Dentro e fuori l’Accademia, Annette dialogherà anche con il Mercurio posto nella fontana dei giardini, dove appenderà dei capelli, e nei giardini stessi».
E poi arriva Yoko Ono.
«Sì a maggio. Anche in questo caso una monografica, anch’essa inedita in Italia, per la super icona new age, a cui seguirà il nuovo che avanza con Claire Tabouret. Il dialogo Claudel- Peyton e Tatiana Trouvé. C’è in realtà un fil rouge che unisce la bellezza di una così diversa espressione».
E dunque cos’è per lei il bello nell’arte contemporanea?
«Ma il bello nell’arte contemporanea non esiste. Non esiste in letteratura, nella storia e nella società. Noi non viviamo per raggiungere il bello, noi viviamo. Così il bello nell’arte contemporanea è l’esistente, fa parte dell’esistente e alla fine svolge un’azione rizomica rispetto a tutte le attività sociali. E non si
conclude, non finisce».
In che senso?
«Le opere dell’arte contemporanea non sono chiuse, sono aperte in un continuo dialogo con il reale. Prendiamo Annette Messager che vive il livello d’arte talmente alta che Roma può dare. E quindi immaginiamo come sarà il dialogo tra le sue opere qui a Villa Medici e magari il Caravaggio che scopre appena esce per la città. L’arte contemporanea fa parte del nostro stile di vita. E poi anche il concetto di contemporanea è così labile. Dipende da Paese a Paese, e non sempre comincia con le Avanguardie»
Insomma bisogna scardinare il concetto storicistico e scolastico per poter apprezzare l’arte contemporanea?
«Penso che l’arte contemporanea sia di dominio pubblico. Prendiamo i capolavori dell’arte classic, di Mantegna non so, li siamo abituati a pensare come sintesi dell’artista, di Cattelan magari nel tempo rimarranno 3 o 4 capolavori. Ma abbiamo vissuto le sue opere» E Roma? Come ha trovato la Capitale al suo ritorno? «C’è un buon fermento, penso al Maxxi e alla Gnam, alle Accademie, io stessa curerò la mostra annuale dei borsisti dell’Accademia che saranno coinvolti anche nei famosi Giovedì della Villa. Spero che il pubblico di Roma risponda con entusiasmo a quest’ondata di entusiasmo. Queste mostre le sono quasi cucite addosso».