Baby Driver – Il genio della fuga sarà in sala il 7 settembre, ma è stato presentato a Roma da uno dei suoi protagonisti (e che protagonista) Kevin Spacey e il regista e sceneggiatore Edgar Wright. L’incontro stampa è stato diviso in due parti, prima quello con il grandissimo attore hollywoodiano e poi quello con Edgar Wright, il regista che è anche in Giuria al prossimo Festival di Venezia.
Due Oscar vinti per American Beauty e I soliti sospetti, Kevin Spacey qualche anno in un’intervista a Hollywood Reporter aveva accettato solo ruoli di rilievo, aveva detto: Datemi Martin Scorsese o andatevene a f*****o, come si colloca il ruolo in Baby Driver?
“Devo mettere questa risposta nel contesto, avevo detto che c’era stato un periodo della mia carriera in cui ho dovuto smettere di fare determinati ruoli. Credo che adesso sono interessato nel ricostruire la mia carriera cinematografica, anche quando mi sono spostato a Londra per dirigere un teatro la gente non pensava a me perché se sei lontano dalla vista le persone non pensano a te a Hollywood. La cosa importante per me è raccontare una buona storia e vi giuro che se Martin Scorsese mi offrisse una parte non lo manderei a quel paese”.
Edgar Wright, il regista di Baby Driver, è un nuovo Martin Scorsese:
“Ho amato i suoi film, penso sia intelligente e buffo, adoro il suo uso della musica ed era una parte alla Michael Caine, come potevo dire di no?”.
In Baby Driver, Kevin Spacey interpreta nuovamente un personaggio cattivo:
“Questa è la sua opinione, giudichi così tanto… mi costringi a bere”, scherza l’attore.
In che modo Doc è diretto dagli altri cattivi, quali sono gli ingredienti perfetti per interpretare un cattivo?
“Mi hai fatto così tante domande che non riesco a risponderti e ti spiego perché: io non giudico i miei personaggi. Sei TU a chiamarlo un cattivo e non lo vedo così, non ci riesco. Quando reciti un ruolo il mio lavoro non è giudicarlo, è interpretarlo. Il tuo, ovviamente, è quello di giudicarlo, ma io devo interpretare una persona. Cattivo o il male è qualcosa che non puoi recitare, puoi interpretare quello che la gente fa e pensa. Quindi non è il mio lavoro, penso che il pubblico ami i personaggi machiavellici, cattivi e complessi. Questo è sempre successo, ma se consideri gli ultimi 20 anni di TV, dai Sopranos in poi, c’è un amore per gli antieroi”.
Kevin Spacey si divide fra cinema, teatro e TV, dov’è più difficile un personaggio complesso? L’attore non ha dubbi:
“È molto difficile, è come fare un confronto fra le arance e le mele, ma se dovessi fare un paragone direi che se le arance e le mele sono in un teatro allora sono la persona più felice al mondo. Teatro, teatro…”
Spacey è un modello per molti attori… (ride) quali erano gli attori a cui si è ispirato?
“Sono stato fortunato perché mia madre amava il teatro e il cinema e mi ha introdotto a una varietà di talenti che sono diventati i miei modelli: Henry Fonda, Katherine Hepburn, Spencer Tracy, Russell, Cary Grant, Bette Davis… la lista è molto lunga. Sono stato anche fortunato di avere Jack Lemmon all’inizio della mia carriera: abbiamo fatto insieme quattro film ed è stato un’influenza tremenda. Joseph Papp che ha diretto il New York Shakespeare Festival e il primo a produrre A Chorus Line, Alan Pakula, uno dei primi registi che ha combattuto per me. Questi sono alcuni degli uomini che mi hanno influenzato di più”.
Kevin Spacey non ama sentirsi doppiato e non ha mai conosciuto la sua voce italiana Roberto Pedicini:
“Gli chiederei chi altro doppia oltre me? Al Festival di Berlino, un uomo si è avvicinato a me, durante una festa, era molto felice di incontrarmi e ha detto: io sono te! Grazie tante e continuava a dirlo e mi ha detto: ti doppio in tutti i film, faccio anche De Niro e Sean Connery. Gli ho chiesto: se faccio un film con loro due, doppi tutti e tre. Non ho conosciuto il mio doppiatore, ma sono certo che non farò un film con Jim Carrey”.
La star non accetta solo i ruoli di antieroi e non crede che siano protagonisti nella società odierna:
“C’è un falso mito sulla carriera di noi attori: puoi interpretare solo le parti che ti offrono. Quindi la scelta è già limitata, sono aperto a tutto le uniche parte che non voglio interpretare sono quelle scritte male, non mi censuro a seconda dei ruoli. Penso che le persone abbiano un’idea sbagliata, gli attori non si siedono e scelgono i propri ruoli. Ma sono aperto a ogni tipo di ruolo, solo la stupidità mi fa paura. E no, non posso parlare per le altre persone, ma è una domanda politica e non rispondo”.
Baby Driver è stato recitato a tempo di musica:
“Sì, quando ti arriva la sceneggiatura, ascolti tutta la colonna sonora. Anche perché Edgar Wright l’aveva già scelta, leggerla per la prima volta è come ascoltarla… ed è una lettura super sexy. Edgar, in alcune scene, voleva che fossimo fisicamente nel ritmo della canzone, quindi ce le faceva ascoltare e poi recitavamo, era come ballare… spero di avere senso del ritmo”.
In Baby Driver la sua voce è al centro di uno dei brani:
“Vorrei essere un mixtape, voglio, voglio, voglio diventarlo. È molto figo, Edgar ha usato un pezzo ed è stato messo in un album… COMPRATELO”.
Kevin Spacey lavora anche come produttore:
“Il tuo lavoro è effettivamente quello di facilitatore, scegli il giusto regista, gli attori e sceneggiatori. Adoro quando succede, se hai fiducia nelle persone che assumi è bello vedere che succeda: è da dodici anni che lo vedo all’Old Vic come direttore artistico ed è un po’ come il ruolo del produttore. Sono anche molto contento dei film che ho prodotto, incluso Unabomber e We Got May. Adesso imparerò come dirlo in italiano”.
Kevin Spacey ha interpretato vari ruoli, dal marito – che si masturba – in American Beauty fino a Frank Underwood, il politico amorale in House Of Cards, qual è stato il più difficile?
“La masturbazione è stata piuttosto difficile… tre, due uno: azione! Non so, è davvero stupido per un attore parlare di quanto sia difficile, non lo è. È schifosamente divertente, è un piacere, una gioia, devo venire tutti i giorni al lavoro è far finta per vivere. C’era un monologo meraviglioso che ho fatto in teatro e avevo questa battuta: quando aveva dieci anni il padre l’ha messo a lavorare, un giorno caldissimo e ha passato ore ore a girare la terra, ha lavorato sodo, ma poi ha iniziato a occuparsi di legge e da quel giorno ha smesso di lavorare”.
Kevin Spacey è stato diretto da Edgar Wright. Il regista inglese ha all’attivo cinque film e sarà uno dei giurati a Venezia 74. A Roma ha presentato Baby Driver – Il genio della fuga. Baby è in un certo senso è una somma di tutti i personaggi precedenti, ma è in un certo senso più consapevole della realtà che lo circonda:
“Lo è in un certo senso. Penso che la maggior parte dei film che ho fatto affrontino la tematica del diventare grandi o raggiungere la maturità, ma in questo film succede il contrario: Baby è già un criminale e aspira a diventare una persona normale, vuole tornare alla normalità. In questo c’è una piccola differenza con gli altri titoli, negli altri film segui il personaggio diventare un eroe, mentre la star di Baby Driver, anche se ha solo 20 anni, è un professionista nel suo campo, ma sono altre parti della sua vita dove vuole crescere”.
Uno dei punti di forza dei suoi film sono i finali, invece, sembra che quello di Baby Driver sia più convenzionale:
“È sempre stato questo il finale. È un finale un po’ più moralista, non voglio non voglio svelare troppo per i lettori che non hanno ancora visto il film, ma gli studi cinematografici volevano che lui la facesse franca, ma per me era importante che Baby prendesse la responsabilità per le sue azioni. Anzi in questo caso, gli studi volevano un finale più irresponsabile e io ero irremovibile e volevo che lui si responsabilizzasse”.
Il finale di Baby Driver – Il genio della fuga era la prima scelta per il regista:
“Sono stato ispirato ai vecchi film gangster degli anni ’30 americani che hanno spesso questi finali morali ed etici. Quando vedi un lieto fine in cui i protagonisti hanno raggiunto il loro obiettivo, non vedi cosa succede dopo, mi chiedo sempre e adesso? Ho sempre creduto in questo, quindi ci sono film in cui vedi una fuga ben riuscita, ma questo è quello che succede 15 minuti dopo nell’inquadratura successiva”.
Edgar Wright sarà in giuria Venezia 74, che giurato sarà?
“Non sono mai stato al Festival di Venezia, ho fatto parte della giuria del Sundance due anni fa. Una delle cose più belle di far parte di una giuria è che guardi film che spesso non vedi al cinema, il mio lavoro è quello di essere completamente oggettivo, senza farmi condizionare dai miei gusti e dalle preferenze. Spero di vedere tutto in modo obiettivo, e la cosa più bella è che vedrò titoli che normalmente non vedrei. La cosa bella dei Festival è che vedi film che normalmente non vedresti, soprattutto internazionali. Non parlo di città come Londra, ma a Los Angeles, per esempio, è più difficile. Qui potrò andare a Venezia è l’emozione di vedere f
ilm da tutto il mondo insieme al pubblico”.
Il regista non ha avuto nessun problema sul set, anzi…
“La verità è che tutti si sono comportati benissimo, la cosa bella di questo film è avere un gruppo del genere tutto insieme. Quando hai questi grandi nomi fanno spesso cameo, ma la cosa bella è che qui avevamo molte scene tutti insieme. Jamie Foxx, Kevin Spacey e Jon Hamm erano nella stessa scena, in particolare sono state bellissime quelle in cui terrorizzavano Baby. In questo film poi c’erano scene in cui avevi c’erano due premi Oscar, quando Jamie Foxx e Kevin Spacey erano inquadrati insieme bisbigliavo al mio direttore alla Fotografia: è un’inquadratura da doppio Oscar. È bello quando hai più star, tutti sono al loro agio, si comportano benissimo: sono tutti ammiratori l’uno dell’altro. Jamie Foxx spesso si sedeva a guardare Kevin Spacey recitare, si sedeva faceva finta di mangiare i pop corn e diceva: è il pop corn time. Ho avuto situazioni surreali, in cui pensavo di essere uno spettatore, mi sedevo a guardarli e poi mi rendevo conto: ho scritto e sto dirigendo io questo film!”.
Tornando a Venezia 74, Wright assicura che non ci sarà politica in guria:
“A Sundance, l’ho già fatto, ed è stato semplice, si votavano, si contavano i voti e se c’era un ex-aequo se ne discuteva. Sono uno dei dodici giurati, non sono il presidente. Conosco qualcuno dei miei colleghi: Rebecca Hall, David Stratton e Annette Bening un po’. A Sundance non abbiamo litigato molto o discusso, l’unica cosa è che si cercava di dare riconoscimenti a più film, in modo tale che non ci fosse solo un asso piglia tutto. È la mia seconda volta e starò lì a guardare i film senza strategia e me li godrò proprio come il pubblico”.
Scott Pilgrim vs. The World è ispirato a un fumetto, è possibile che Baby Driver diventi un comic book?
“È interessante, perché no, queste cose hanno bisogno di tempo. Io e Simon Pegg abbiamo fatto un fumetto ispirato a uno dei zombie di L’Alba dei Morti Dementi ed è stato divertente. Queste cose le fai per dare sfogo alla tua creatività”.
L’Alba dei Morti Dementi è il titolo italiano di Shaun of Dead:
“Ho attaccato il poster spagnolo a casa del film, il titolo è Zombies Party”.
Edgar Wright è un regista e sceneggiatore un po’ anarchico, come gestisce la sua natura con gli studi?
“Le persone spesso mi definiscono un regista indipendente, ma L’Alba dei Morti Dementi, Hot Fuzz e Scott Pilgrim sono stati realizzati con Universal e Baby Driver è il primo che faccio con Sony. Ho fatto cinque film e ho trovato un modo di essere anarchico in questi film: Baby Driver è più mainstream, ma contiene tutte gli elementi idiosincrasici tipici dei miei altri lungometraggi. Parlando del pubblico in generale, ci sono alcuni elementi che si aspettano, per esempio Scott Pilgrim vs. The World, per alcuni è un film di culto, altri sono rimasti un po’ perplessi dopo aver visto il trailer, si chiedevano che razza di film fosse. Baby Driver è diverso: il pubblico generico viene a vederlo e poi si ritrova i miei stilemi. L’abbiamo già notato dai primi test screening, per me è un po’ un Cavallo di Troia, posso esprimere idee fuori dal seminato in un pacchetto più mainstream. Ci sono registi che fanno film per se stessi e gli studi, con Baby Driver ho fatto contenti entrambi. È commerciale, ma ha tutte le tracce del mio stile. Ci sono voluti cinque e sei anni per soddisfare me e gli studi”.
Baby Driver è stato realizzato con un budget inferiore ai 40 milioni di dollari e ne ha già guadagnati 200 a livello mondiale. Edgar Wright adatta spesso gli stili nei suoi film, cosa è cambiato dalla sua Cornetto Trilogy?
“Per ogni film impiego molto tempo, ci metto tre anni a realizzarlo, vorrei impiegare meno tempo, ma li scrivo e dirigo. Da quattro anni non facevo film. Vorrei provare a cambiare genere a ogni nuovo titolo, penso che ci sia poco tempo per esprimerci e per questo voglio farlo. Mi piace l’idea di farlo ogni volta e spero che sia chiaro nei film. Baby Driver è il film meno comico che ho realizzato, gli altri film sono molto legati alla commedia, anche se sono horror, action movie o sci-fi, li ho realizzati per amore di quel genere. Adoro la commedia, c’è ovviamente la mia visione personale, ma mi piace spaziare ed essere sempre diverso mantenendo la mia visione, gli stilemi ed esplorando tutto questo attraverso generi diversi”.
In Baby Driver la musica gioca un ruolo fondamentale, come ha scelto i brani della colonna sonora? O ha scritto prima la sceneggiatura?
“Entrambi: non scrivevo la scena se non avevo in mente la canzone. Prima di scrivere dovevo trovare il brano giusto, per alcune scene ne avevo almeno dieci in mente e pensavo alla canzone prima di scrivere. Quando ho finito la prima stesura, il 90% della sceneggiatura era già con la colonna sonora originale. L’ho poi aggiunta alla storyboard e abbiamo provato con le canzoni che sono presenti nel film insieme a coreografo e stunt. Questi brani sono stati suonati prima di girare e abbiamo coreografo l’intero film su quei brani, le canzoni erano lì e gli attori li sentivano prima delle scene. La musica si sentiva già sul set”.
Edgar Wright è legato al regista Walter Hill e soprattutto al suo Driver, l’imprendibile, ispirazione per il suo Baby Driver:
“Walter Hill che ha diretto Driver, l’imprendibile, un film che adoro e ha ispirato Baby Driver. L’ho conosciuto e siamo diventati amici 5-6 anni fa dopo una proiezione di Driver e durante la sessione di domande gli ho detto che stavo lavorando alla sceneggiatura di Baby Driver. È buffo perché ha rifiutato tutti i miei inviti alle proiezioni perché voleva vederlo al cinema pagando il biglietto appena sarebbe uscito in sala. C’è un cameo della sua voce nel film, è una delle voci che si ascolta alla fine, per me era davvero importante, volevo ringraziarlo. Sono un suo fan, quando l’ho visto in TV ed ero teenager è stato un titolo che è rimasto sempre con me. Mi ha segnato talmente tanto che ne ho parlato in interviste e sono molto orgoglioso di poterlo definire amico e sono felice che abbia preso parte a questo film. Una delle cose già carine è che mi ha chiamato per farmi i complimenti ed è davvero una bella telefonata”.
Edgar Wright avrebbe dovuto dirigere Ant-Man, ha abbandonato il progetto per un motivo ben preciso:
“È facile rispondere, in quella situazione avevo scritto una sceneggiatura e non potevo realizzarlo. Fino a questo punto ho scritto e diretto tutto quello che ho realizzato e non voglio essere un regista a noleggio, volevo scrivere e dirigere il film. . Anche se è stata una decisione difficile da prendere, è stata la cosa giusta da fare, non ho rimorsi. Ho rimorsi per il tempo speso, ma non per non averlo fatto. Sono felice di aver diretto Baby Driver, l’ironia è che quando facevo quel film, pensavo: se riesco a finire questo film, farò Baby Driver. Alla fine l’ho diretto, quindi è un lieto fine per tutti!”.
Edgar Wright sarà presto, Baby Driver – Il genio della fuga vi aspetta al cinema dal 7 settembre… ed è imperdibile!