Chissa perché lo chiamavano Carletto

All'età di 86 anni ci lascia Carlo Mazzone

Foto Askanews.

Chissà perché lo chiamavano Carletto! Un omone grande, forte, di carattere, sempre schiena dritta. Carlo Mazzone, romano de Roma, di quella Roma in bianco e nero, del “volemose bene”, della Sora Lella, del campo Testaccio. Ma soprattutto della Roma in giallo e rosso. I colori della sua squadra del cuore per cui è riuscito a giocare soltanto due partite in serie A.

Una carriera da modesto difensore in giro per le province italiane che lo ha portato alla corte di un altro grande romantico del calcio: Costantino Rozzi da Ascoli. La città dove si è spento e che lo ha visto diventare un grandissimo allenatore. Autore di promozioni e salvezze impossibili. Il primo ad adottare il modulo 3-4-3 in Italia, per poi diventare uno degli allenatori più amati dal tifoso romanista.

Un’immagine schietta, popolare e un po’ demodè non lo ha mai portato a grandissimi palcoscenici. Ma uno dei suoi discepoli, Pep Guardiola, forse il più grande allenatore di sempre, lo ha considerato suo maestro e ispirazione sul campo e nello spogliatoio; un tributo che vale anche più di un trofeo. Un altro onore è sicuramente quello di essere il recordman di panchine in serie A con 792 partite in carriera.

Il suo pugno sotto la curva sud dopo un trionfo per 3-0 in un derby del 1994-95 contro la Lazio stellare di Cragnotti è l’incarnazione del romanismo e del romanticismo calcistico fatto di campanilismi, di maglie sudate, di appartenenza e di lavoro sodo. Un calcio che non esiste più ma che piacerebbe ancora a chi lo vede come il gioco che ti porti dentro da quando sei bambino in cortile a quando sei in pantofole sulla poltrona del salotto a 86 anni. L’età in cui er “sor magara” ci ha salutato per andare a urlare a qualche angelo: “Ahó! Resta in difesa che non hai mai segnato in vita tua!”

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