Maria Rosaria Spadaccino per Il Corriere della Sera Roma
Il centro storico di Roma potrebbe uscire dai siti Unesco. «La riforma Franceschini, con l’istituzione del nuovo Parco Archeologico del Colosseo, lo mette a rischio». A lanciare l’allarme è Filippo La Padula di Italia Nostra Roma, intervenendo ieri alla conferenza stampa della Uil Beni culturali che ha presentato ricorso al Tar proprio contro il nuovo Parco archeologico. «Abbiamo già scritto all’Unesco – dice La Padula – chiedendo un incontro con la commissione italiana perché si stanno verificando le condizioni per cui il centro storico di Roma venga cancellato». Giorno dopo giorno l’affare Colosseo diventa sempre più complesso. Ieri il sindacato Uil/bact ha annunciato on altro ricorso al Tar, presentato due giorni prima (il 19) di quello della giunta Raggi, ma comunicato ieri.
«Siamo contro lo smembramento della Soprintendenza per la creazione del Parco – spiegano Enzo Feliciani e Ferruccio Ferruzzi, segretario nazionale e responsabile dirigenti UilBact – Operazione arbitraria con gravi profili di illegittimità di merito e metodo, che frammenta la tutela del territorio della Capitale posto unitariamente sotto l’egida dell’Unesco e la depaupera della sua principale risorsa». I sindacalisti non erano a conoscenza delle intenzioni del Comune, «sono state due iniziative parallele, non concordate, ma in questa fase vediamo con favore ogni alleanza».
Secondo i ricorrenti la creazione del Parco sarebbe «illegittima», poiché un «emendamento autorizza il ministro ad adeguare le Soprintendenze agli standard museali internazionali, non a sopprimerle e istituire nuove entità di livello dirigenziale come il Parco». Del tutto «irregolare», secondo i sindacati, anche la frettolosa nomina di un dirigente ad interim di un Parco ancora inesistente, «senza la dovuta selezione pubblica e assegnata ad una dirigente assai discussa», che riceve anche un aumento di stipendio alla quale «viene adesso affidata la più importante cassa del Ministero».
Ma, secondo la Uil, la riforma Franceschini, di cui il Parco archeologico del Colosseo è la punta di diamante, avrebbe disatteso anche l’obiettivo del risparmio di spesa, visto che «fino al 2014 erano 3 i dirigenti di seconda fascia sul territorio. Oggi tra prima e seconda fascia sono diventati 10 con un esborso quasi triplicato». Ed inoltre «la Soprintendenza speciale di Roma perde la sua principale risorsa, l’80% delle entrate di bigliettazione del Colosseo, circa 60 milioni l’anno, che ora andranno al Ministero». L’ex-soprintendente Adriano La Regina rimarca l’importanza dell’ufficio che ha guidato: «Ci sono voluti più di 20 anni per riorganizzare il patrimonio di Roma. I musei sono il frutto dell’attività della Soprintendenza che ha anche creato il grande risultato degli introiti del Colosseo. Quando le antichità erano tutte in passivo, c’è stata la politica adeguata di istituire il biglietto al Colosseo e di liberalizzare il Foro romano, senza sottrarre nulla a cittadini e visitatori».
Oggi intanto il ministro Dario Franceschini risponde all’interrogazione dei deputati del Pd i quali chiedono di sapere «se rispondono al vero le affermazioni della sindaca Virginia Raggi secondo le quali il decreto sarebbe lesivo degli interessi e delle competenze del Comune di Roma Capitale». Non usa mezzi termini il senatore Pd e membro della commissione Cultura, Walter Tocci che definisce la riforma: «Pastrocchio Franceschini. Del decreto, che non hanno fatto passare in sede di parere, penso tutto il male possibile. Altro che riforma sono 15 anni che si fa sempre la stessa politica che mortifica le professionalità. E se pensiamo che i beni culturali si possano gestire con una quota degli introiti del Colosseo siamo fuori di testa». E poi annuncia: «Sto lavorando a un disegno di legge per una “grande” soprintendenza. Non mi illudo di approvarlo, visto che la fine del mandato è vicino, ma credo serva un nuovo disegno che sia all’altezza del patrimonio. E magari resterà a disposizione per le future generazioni di politici».