Dal petrolio alla guerra in Siria: i curdi questione globale

Dallo spettro del guerrigliero Ocalan* all'oro nero, perché quanto succede ai curdi mette d'accordo (quasi) tutti

Da Ocalan* all’oro nero, perché quanto succede ai curdi mette d’accordo (quasi) tutti

Con la mossa degli Stati Uniti di ritirarsi “improvvisamente” dal nord est della Siria sono tornati a galla temi che in realtà di nuovo hanno ben poco, a cominciare dalle rivalità tra curdi e Turchia – ricordate Ocalan, che ora è in carcere a vita dopo aver scampato la pena di morte? Abdullah Ocalan è stato il simbolo della lotta dei curdi per l’autonomia culturale e politica da Ankara, a partire dalla fine degli anni Settanta e culminata con il partito PKK bandito dalle autorità turche.

Ma è dall’inizio del secolo scorso che il popolo dei curdi ha iniziato a sognare un proprio Stato, il Kurdistan: sogni che vennero infranti con la definizione dei confini della Turchia dopo la Prima Guerra Mondiale, con il Trattato di Losanna. Da quel momento, i curdi non hanno smesso di battersi per la creazione di uno Stato non solo riconosciuto a livello geografico, ma anche politico.

L’unica vittoria ottenuta è stata la creazione della regione autonoma del Kurdistan in territorio iracheno, il cui presidente è Nechirvan Barzani. La restante popolazione curda, però, nel suo complesso occupa una zona molto più vasta, compresa tra il nord est della Siria, il sud est della Turchia, il nord ovest dell’Iran e il nord dell’Iraq: una zona molto ricca di petrolio. E qui sta una prima chiave di lettura di quanto sta accadendo in questi giorni. Fino a oggi il fatto che i curdi combattessero lo Stato Islamico ha messo d’accordo tutti, perché di fatto hanno tenuto l’Isis lontano dai pozzi petroliferi. Basti pensare che sotto il controllo dei curdi iracheni c’è quasi un terzo della produzione irachena (fonte The Kurdistan Project).

Poi, all’inzio di questo mese di ottobre, i curdi siriani hanno stretto un accordo con Damasco, dando il via libera alle truppe di Bashar Al Assad per entrare nel loro territorio. Perché? Per cercare protezione contro la Turchia, in un momento in cui gli Stati Uniti avevano già cominciato a ritirarsi. Con l’annuncio ufficiale del presidente americano Donald Trump, Ankara non ha avuto altra scelta se non quella di dichiarare la volontà di attaccare la Siria nordorientale per “costruire una zona cuscinetto” libera dai curdi che ha sempre combattuto.

Ma in verità sembra solo una mossa politica, quella del presidente turco Tayyip Erdogan: il fatto che l’esercito siriano rientri in possesso del territorio controllato dai curdi siriani fa in modo che non aumenti eccessivamente il loro potere (cresciuto anche grazie alle armi) e abbassa il rischio di un ritorno al passato – e allo spettro di Ocalan.

A questo punto la grande vittoria – almeno fino a questo momento – sembra quella del regime siriano: Assad torna in una zona che aveva perso fin dall’inzio della guerra siriana e si ritrova interlocutore della Turchia con cui cominciare un dialogo per la fine del conflitto. E con Assad tornano in primo piano i suoi sostenitori, la Russia e l’Iran.

Uno scenario simile non poteva non ri-suscitare l’attenzione di Whashington: di qui il rientro di Trump nelle trattative tra curdi e turchi e la decisione di stabilire un cessate il fuoco di cinque giorni, che terminerà martedì 22 ottobre.

E intanto Assad, sabato 19 ottobre, ha incontrato una delegazione russa a Damasco, con cui ha discusso “l’aumento delle tensioni nel nord est del Paese”, come si legge dalle agenzie. E sempre il 22 ottobre, giorno della fine del cessate il fuoco, il presidente russo Vladimir Putin incontrerà proprio il suo omologo turco a Sochi.

*è un uomo politico, guerrigliero e rivoluzionario curdo. Ocalan ‘ il leader  del PKK (partito dei Lavoratori del Kurdistan)

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