Eredità Sordi, parata di vip in tribunale

Verdone, Banfi e tanti altri ascoltati come testi nella vicenda dell'eredità di Alberto Sordi

Fulvio Fiano per Corriere Roma

 

Il processo sull’eredità Sordi diventa una passerella di star: Carlo Verdone Lino Banfi, Enrico Montesano, Mara Venier, Max Tortora, Massimo Ghini. E poi Walter Veltroni, Gianni Alemanno, l’ex assessore Dino Gasperini, l’ex magistrato Italo Ormanni, il presidente di sezione del tribunale civile, Mario Rosario Ciancio, notai, luminari della scienza medica. Nella prima udienza per il presunto raggiro alla signorina Aurelia da parte dell’ex autista Arturo Artadi con la complicità degli altri domestici, due avvocati e un notaio, il giudice ammette tutte le testimonianze chieste dalle parti per capire se al decennale della morte di Albertone, febbraio 2013, la sorella fosse ancora lucida e presente.

Non l’unica notizia di rilievo nel dibattimento iniziato con il (fallito) tentativo degli imputati e della Fondazione Museo di escludere i parenti di Albertone dai risarcimenti. Un preludio di quello che sarà l’altro vero tema del processo, lo scontro tra l’ente che gestisce il patrimonio di ricordi e memorabilia del grande attore, custoditi nella villa di via Druso, e i 34 cugini e nipoti di quinto e sesto grado che vogliono voce in capitolo. All’alleanza di giornata tra presunti truffatori e parte truffata si oppone il pm Eugenio Albamonte. La Fondazione, rappresentata dall’avvocato Nicoletta Piergentili, sottolinea che i parenti «non possono essere chiamati eredi» perché non inclusi nel testamento, ma in attesa che il tribunale civile decida in questi stessi giorni sulla richiesta impugnazione delle volontà di Aurelia Sordi, il giudice li lascia nel processo.
Incassato il successo, gli avvocati Francesca Coppi e Andrea Maria Azzaro sparano le prime frecce. E sono altri due colpi di scena. La riassunzione tra il personale in servizio nella villa di quattro imputati (non Artadi, che pure ha rifiutato un’offerta analoga) e poi una lunga lista di assegni per 90 mila euro di cui hanno beneficato ben prima del testamento contestato non solo gli imputati ma anche chi, come il broker Giovan Battista Faralli, quel patrimonio gestiva. Faralli non è accusato di nulla, anzi ha denunciato Artadi. E tramite il suo legale ha già chiarito che si trattava di «doni» fatti dalla anziana signorina che di lui si fidava in tutto e per tutto. Ma il tentativo dei 34 parenti è quello di retrodatare il «cambio di abitudini» della vittima, da sempre dedita a una vita senza spese superflue salvo poi divenire di colpo di manica più larga.
 

Anche da qui entra nel vivo il dibattimento, con la deposizione di Umberto Catellani, il direttore della banca popolare di Sondrio (cofirmatario della denuncia), che gestiva le spese correnti della signorina attraverso un conto sul quale operava Artadi fino a quando, gennaio 2013, l’autista provò con una procura speciale ad avere mani libere sull’intero patrimonio. «Mi insospettì il fatto che la presentò a uno sportello anziché a me direttamente», dice Catellani. «Andavo di persona dalla Sordi per le operazioni sui titoli. Dal giorno della procura mi fu impedito di tornare», aggiunge. Le domande degli avvocati Marco Maria Monaco (Artadi) e Luciano Moneta Caglio (per il notaio Sciumbata) segnano un punto nel finale: «Conoscevo il maestro Sordi dal 1995. Mi disse “Mi raccomando con mia sorella”. La signorina non conosceva l’uso degli assegni, ma non posso dire che non fosse lucida. E mi fidavo della presenza di Artadi e Faralli di cui si fidava. Mi dispiace per quello che è successo dopo la denuncia».

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