Il Pasolini sacro (e profano) al Palazzo delle Esposizioni di Roma

Per il centenario della nascita del poeta, una mostra sorprendente sul regista friulano

È strutturata come una trilogia pasoliniana la mostra organizzata a Roma in occasione dei cento anni della nascita di Pier Paolo Pasolini. La prima puntata, ‘Il corpo poetico”, sta andando in scena dal 19 ottobre scorso al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Una carrellata di immagini, documenti, colori, stoffe e suggestioni che provengono dal corpus poetico, letterario, cinematografico e culturale prodotto in decenni di attività da uno degli intellettuali italiani più brillanti, eretici e controcorrente del Novecento.

“Dove si dimostra proprio che il poeta è brutto. Il poeta è cattivo, ecco, con buona pace dei borghesi che invece si sentono confortati dalla presenza del poeta: ebbene stiamo attenti: perché il poeta è fondamentalmente un delinquente”.

La mostra si apre con questa frase di Carmelo Bene scritta in apertura, come incisa sul cornicione di un tempio o di un oracolo greco. E la sacralità, o per meglio dire la santità, è il tema portante della mostra curata collettivamente da Michele Di Monte, Giulia Ferracci, Giuseppe Garrera, Flaminia Gennari Santori, Hou Hanru, Cesare Pietroiusti, Bartolomeo Pietromarchi, Clara Tosi Pamphili. “Tutto è santo” è una frase fatta pronunciare al saggio Chirone nel film Medea del 1969. Con l’intenzione, spiegano gli organizzatori, di “evocare la misteriosa sacralità del mondo: il mondo arcaico, religioso, del sottoproletariato, un mondo senza classi e senza appartenenze ideologiche, in opposizione a quello della modernità ordinato secondo i principi razionali, laici, borghesi”.

La mostra offre al visitatore la possibilità di vedere con i propri occhi le foto scattate in Marocco da Dacia Maraini a Pasolini, così come quelle che ritraggono Anna Magnani sul set di ‘Accattone’. Un incontro, quello, che avrebbe segnato l’inizio di un sodalizio umano e professionale culminato con il capolavoro ‘Mamma Roma’. Film di cui l’esposizione riporta le foto del set che includono, tra le varie cose, celebre primi originali della Magnani. Per i più addentrati, c’è poi il copione de ‘La ricotta’, la celebre riproposizione in mediometraggio della Passione di Cristo ricostruita su un set cinematografico nelle borgate Roma.

Storie di vita e storie di set. Ci sono abbozzi originali di Pasolini e le foto dolci, private, del poeta in compagnia della madre. Alcuni contributi video raccontano il regista friulano attraverso le testimonianze di intellettuali, registi come Abel Ferrara o ristoratori e testimoni che hanno viceversa vissuto il Pasolini più arcaico, proletario, primitivo. Quello dello spaghetto “ajo e ojo” alle 23,30 di sera in compagnia di ragazzi di vita al Biondo Tevere o in altre trattorie della Capitale.

Ma le parti della mostra che a nostro avviso hanno colto il carattere sacro di Pasolini contrapposto, viceversa, all’attrazione verso il profano, l’osceno, l’indicibile raccontato dall’Italia degli anni Sessanta, sono due: quella relativa ai procedimenti giudiziari dell’autore e al dileggio della stampa nazionale verso le due “deviazioni sessuali e quella dei costumi di scena. La prima parte è stata chiamata dai curatori “Dileggio. Il linguaggio dei padri”. Qui non si sottolinea l’oscenità di Pasolini quanto quella che la stampa reazionaria dell’epoca ha ritagliato addosso all’autore, come un vestito malevolo, un marchio di riconoscimento per raccontare a un’Italia incline a scandalizzarsi come dietro a quella genialità poetica si nascondesse invece un maniaco, un pervertito, un sovvertitore della morale. Così, su un’immensa parete della mostra sono stati esposti tutti i procedimenti giudiziari che hanno riguardato Pier Paolo Pasolini. Un vero e proprio accanimento della magistatura, rubando un’espressione tipica del post-Tangentopoli, che ha portato i curatori a definire il poeta “un ostaggio della magistratura”. Al fianco di questa opera di delegittimazione tribunalizia, però, Pasolini ha dovuto anche subire un’estenuante opera di dileggio da parte della stampa reazionaria – capofila ‘Il Borghese’ di Mario Tedeschi – che in stile allusivo e diffamatorio ha martellato e colpito il regista nella sua sfera intima e sentimentale. Al centro degli attacchi anche gli attori-feticcio del pasolinismo, con Ninetto Davoli e Franco Citti bollati maliziosamente come amanti di PPP. Citti, per di più, associato alle fattezze animalesche di un gorilla.

La seconda parte, evocativa, suggestiva e davvero imperdibile, è quella dei costumi di scena proposti dalla mostra. Si trovano i vestiti medievaleggianti de Il Decamerone o le tuniche pensate da Euripide per la sua Medea del V secolo a.C. e reinventate da Pasolini per la sua interpretazione cinematografica. Vestiti senza tempo, legati a realtà mitiche, circondati– poco più avanti – dalle immagini in bianco e nero – crude e contadine – della periferia romana.

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