Il San Francesco di Gentileschi e il processo a Caravaggio in scena a Roma

La mostra all’interno di Palazzo Barberini. I tesori della conversione caravaggesca del padre di Artemisia

Quadri raffiguranti San Francesco d’Assisi, un saio e un tomo che contiene gli atti del processo a Caravaggio, Orazio Gentileschi e Onorio Longhi. È questo il piccolo tesoro conservato all’interno della sala 9 del piano terra di Palazzo Barberini. Circondato dall’esposizione su Pier Paolo Pasolini e da celebri opere sacre, la mostra “Orazio Gentileschi e l’immagine di san Francesco. La nascita del caravaggismo a Roma”, curata dal professore dell’Orientale di Napoli Giuseppe Porzio, ha esposto per la prima volta il quadro di San Francesco in estasi realizzato proprio da Gentileschi, notificato dallo Stato italiano su parere di Yuri Primarosa quale opera di eccezionale importanza storico-artistica. Eseguito dal naturale e con il modello in posa, come aveva appreso proprio da Merisi, quest’opera è considerata il più vivido esempio dell’avvicinamento di Gentileschi alle cifre stilistiche di Caravaggio:

È proprio Caravaggio il convitato di pietra della mostra, che intende mostrare proprio la conversione caravaggesca del grande pittore naturalista pisano, padre di Artemisia.

A quest’opera sono affiancate alcune opere che ripropongono un affine stile pittorico con al centro sempre il santo francescano. Particolarmente significativa è l’opera del Cigoli e il San Francesco confortato da un angelo:

Presente all’interno della sala anche il saio e il flagello originali di un frate cappuccino del Seicento, Frate Mattia Bellintani da Salò, che fanno immergere il visitatore in un clima mistico e austero che Gentileschi e Caravaggio hanno riproposto nelle proprie opere:

Ma oltre al capolavoro inedito di Gentileschi, l’altra chicca della mostra è un grande tomo che si trova di fronte all’ingresso della sala. Si tratta degli atti originali del processo che Giovanni Baglione aveva intentato contro Caravaggio, Onorio Longhi, Filippo Trisegni e lo stesso Gentileschi. Una spy story artistico-giudiziaria di inizio Seicento che vale la pena raccontare.

Giovanni Baglione, pittore romano e scrittore, era stato considerato da Caravaggio sostanzialmente un plagiatore: Baglione avrebbe copiato in maniera “goffa” – parole di Merisi – la sua “Resurrezione di Cristo” dal “Martirio di San Matteo” proprio di Caravaggio, che nel processo rilasciò anche le uniche dichiarazioni che esprimevano un suo parere sulla pittura dell’epoca:

 

Opera di Baglione

Opera di Caravaggio

“Quella parola, valent’huomo, appresso di me vuol dire che sappi far bene, cioè sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valent’huomo, che sappi depinger bene et imitar bene le cose naturali”

A far scatenare le ire di Baglione e la successiva citazione in giudizio sarebbero stati dei sonetti diffamatori nei suoi confronti apparsi per tutta Roma, che il vilipeso riteneva essere stati messi in giro proprio da Caravaggio, Orazio Gentileschi e Onorio Longhi.

Le cronache raccontano di un Baglione intento a girare per tutta Roma alla ricerca delle prove documentali per incastrare i propri detrattori. Questi trovò due poesie, non esattamente amichevoli:

Gioan Bagaglia tu non sai un ah
le tue pitture sono pituresse
volo vedere con esse
che non guadagnarai
mai una patacca
che di cotanto panno
da farti un paro di bragesse
che ad ognun mostrarai
quel che fa la cacca
porta là adunque
i tuoi desegni e cartoni
che tu ai fatto a Andrea pizicarolo
veramente forbetene il culo
alla moglie di Mao turegli la potta
che […] con quel suo cazzon
da mulo più non la fotte
perdonami dipintore se io non ti adulo
che della collana che tu porti indegno sei
et della pittura vituperio.

E poi una seconda:

Gian Coglion senza dubio dir si puole
quel che biasimar si mette altrui
che può cento anni esser mastro di lui.
Nella pittura intendo la mia prole
poi che pittor si vol chiamar colui
che non può star per macinar con lui.
I color non ha mastro nel numero
si sfaciatamente nominar si vole
si sa pur il proverbio che si dice
che chi lodar si vole si maledice.
Io non son uso lavarmi la bocca
né meno di inalzar quel che non merta
come fa l’idol suo che è cosa certa.
Se io mettermi volesse a ragionar
delle scaure fatte da questui
non bastarian interi un mese o dui.
Vieni un po’ qua tu ch’e vò’ biasimare
l’altrui pitture et sai pur che le tue
si stano in casa tua a’ chiodi ancora
vergognandoti tu mostrarle fuora.
Infatti i’ vo’ l’impresa abandonare
che sento che mi abonda tal materia
massime s’intrassi ne la catena
d’oro che al collo indegnamente porta
che credo certo meglio se io non erro
a piè gle ne staria una di ferro.
Di tutto quel che ha detto con passione
per certo gli è perché credo beuto
avesse certo come è suo doùto
altrimente ei saria un becco fotuto.

Questi piccoli e grandi tesori di Roma, per specialisti e semplici appassionati di arte, sono visibili a Palazzo Barberini fino al 10 aprile 2023.

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