Gli occhi increduli. Le mani tese al cielo per la disperazione. Appena scesa dal cocchio guidato da Cupido, Venere di bianchissima bellezza sembra quasi curvarsi di dolore davanti al corpo ormai esanime del suo amato, ucciso dal cinghiale inviato da Ares. Dopo due anni di restauri e con una delicatissima operazione di ricollocazione, torna a Palazzo Farnese la Morte di Adone, capolavoro del Domenichino (1581-1641) riportato al suo splendore grazie alla collaborazione tra l’Ambasciata di Francia a Roma, l’Istituto Centrale per il Restauro e la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della capitale.
“Un’occasione importante, soprattutto in un momento cosi’ buio – esordisce l’ambasciatore di Francia in Italia, Christian Masset -. In questa guerra atroce all’Ucraina si distruggono case, vite, ma anche il patrimonio culturale, che e’ quello che costituisce una nazione”. A Palazzo Farnese, invece, gia’ da tempo, si lavora “per la conservazione del patrimonio”, dal restauro della Galleria Carracci alla grande operazione che fino al 2025 sta investendo le facciate. Ed e’ proprio grazie a un’altra operazione salvezza se oggi questo Adone e’ giunto fino a noi.
“L’opera e’ parte di un ciclo di tre affreschi realizzati tra il 1603 e il 1604 – spiega la soprintendente Daniela Porro – i cui soggetti, tratti dai miti classici e narrati da Ovidio nelle Metamorfosi, sono Narciso alla fonte, Apollo e Giacinto e la Morte di Adone”. Ovvero, aggiunge la direttrice dell’Icr, Alessandra Marini, “i tre miti dalla cui morte nasceva un fiore: il Narciso, l’Anemone e il Giacinto, di cui erano disseminati i giardini dei Farnese, con un chiaro richiamo anche ai gigli del loro stemma”.
Realizzati dal Domenichino su incarico di Annibale Carracci nel Casino della Morte (voluto dal cardinale Odoardo Farnese tra la sponda del Tevere e il palazzo di famiglia cui era collegato con l’arco che scavalca via Giulia), i tre affreschi vennero distaccati nel 1817 dal restauratore Pietro Palmaroli e portati nella Sala delle Firme al piano nobile di Palazzo Farnese. “Probabilmente – dice la Marini – per salvarli da un cattivo stato di conservazione, ma anche per restituire dignita’ al Palazzo, espoliato in eta’ napoleonica”.
Per l’occasione Palmaroli esegui’ l’allora nuovissima tecnica di distacco “con un sottilissimo strato di intonaco, che poi assottiglio’ ulteriormente. Rimontate con cornici a stucco, le tre opere vennero posizionate vicino alla Galleria Carracci, poi nuovamente smontate ed esposte su cavalletto e poi ancora rimontate per una mostra sul classicismo nel 1962”. Dopo i lavori gia’ eseguiti sul Narciso, l’Icr e’ ora intervenuto sull’Adone, inizialmente affrescato su una volta del Casino, con un lungo lavoro di analisi e consolidamento delle superfici pittoriche (finanziato dallo stesso Icr), che ha permesso di individuare anche “la sequenza delle sei giornate di lavoro per realizzarlo”. In particolare, a dar filo da torcere e’ stata “la parte centrale con il braccio sinistro di Venere e lo sfondo arboreo. Probabilmente – dice la Marina – era rovinata gia’ al tempo di Palmaroli. Ora abbiamo trovato tracce di un intervento di restauro di cui non sappiamo la datazione, ma testimoniato da pigmenti piu’ recenti di quelli usati dal Domenichino, di produzione industriale ottocentesca. Soprattutto, il verde. E tutti a base di tempera”.
Sui quali quindi non era possibile intervenire con nessuna soluzione acquosa. Si e’ dunque utilizzata la foto ablazione con il laser, tecnica del tutto uguale a quella utilizzata in campo medico. Ora si guarda al Narciso, sperando di concludere quanto prima il ciclo di restauro. Collocati all’ingresso della residenza dell’ambasciatore, i tre affreschi sono visibili al pubblico in occasione della Festa del 14 luglio e per le Giornate del patrimonio di settembre.