Lago di Bolsena: ritrovati sul fondo resti civiltà preistorica

Sul fondo del più grande lago laziale  spuntano bronzi, statuine e vasi di tremila anni fa insieme a semi e ossa di animali bruciati

photo credit: @SoprArcheologia

A quattro metri di profondità nel lago di Bolsena è stato identificato un gigantesco giacimento “sacro”, un grande tumulo di pietre completamente sommerso, dell’ampiezza di 60 per 80 metri circa, che ha restituito incredibilmente una grande quantità di reperti metallici legati a riti religiosi di 3000 anni fa. Un “tesoro” per gli studiosi, fatto di statuine in bronzo, fibule, anellini, spilloni, rotelle a raggi forse d’argento e molte fusaiole finemente decorate. E vasi, con all’interno resti combusti di semi e ossa di animali. Ma soprattutto, un bronzetto molto speciale: una statuina di pochi centimetri, fusa in bronzo, di fattura “nuragica”, legata cioè all’antichissima civiltà sarda che echeggia le rotte dei Fenici nel Mediterraneo. Un unicum.

“Una figura lavorata con alcuni elementi stilistici che rimandano all’antica civiltà della Sardegna”, racconta a Laura Larcan per “Il Messaggero” Barbara Barbaro l’archeologa subacquea della Soprintendenza per l’Etruria meridionale (diretta da Margherita Eichberg), che sta seguendo le operazioni di indagini nel lago in collaborazione con il Centro Ricerche Archeologia Subacquea (CRAS Aps).

“All’inizio, quel piccolo oggetto incrostato che tenevo nelle mani sul fondo del lago sembrava una semplice scoria di fusione. Una volta riemerso e ripulito, ha rivelato tutto il suo splendore”. Cè l’emozione nella voce di Egidio Severi, l’assistente tecnico archeologo subacqueo, che da anni affronta le immersioni nel Lago di Bolsena. Ne conosce fondali e acque, eppure non smette mai di stupirsi. Gli occhi incisi, il copricapo particolare, la posizione delle mani , tutto rimanderebbe alla figura di una divinità.

“Il bronzetto richiama il mondo sardo-fenicio e orientale che testimonia oggi il contatto della zona di Bolsena con il mondo asiatico”, spiega. Il nuragico, insieme ai reperti stanno riemergendo dal complesso cosiddetto della “Aiolà”, il gigantesco giacimento “sacro”, identificato ora come il luogo di culto del famoso Villaggio preistorico di capanne su palafitte del Gran Carro risalente al X-IX secolo avanti Cristo (fase dell’età del Ferro), considerato dagli studiosi (e dai libri di storia) un importantissimo insediamento d’età villanoviana tra i più vasti e meglio conservati.

“Dopo 60 anni di indagini sul villaggio – continua Barbara Barbaro – abbiamo fecalizzato le indagini per la prima volta sull’Aiolà. Pensavamo che non desse risultati, poi, con i primi saggi subacquei abbiamo intercettato indizi chiave che d hanno fatto capire che si tratta di un luogo di culto”. Dobbiamo immaginare il grande tumulo come una sorta di titanico altare; sulla parte superiore si svolgevano i riti, tanto che si presenta con una superfìcie costellata di roghi. E qui sono stati seppelliti gli oggetti di culto.

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